Il comune di Rende non è MAFIOSO.Gratteri è il sostenitore del primato della mafia calabrese.

C’è oggi una frazione del Partito dei Magistrati che vuole tutto e subito. Specialmente per ciò che riguarda la propria carriera.
Che l’“antipolitica” ostentata da certi campioni del “lavoro straordinario” (e straordinariamente poco compatibile con quello per il quale sono pagati dallo Stato – cioè da Pantalone) finisce quasi sempre per confluire nella politica, o in tentativi di fare tale passo.
Talvolta, ad onor del vero sono gli altri a trascinare i poco recalcitranti magistrati nell’agone politico. Renzi si incaponì per avere Gratteri, magistrato Calabrese fino ad allora non troppo noto, al Ministero della Giustizia. Ne nacque un braccio di ferro con Napolitano. Che la spuntò, così che alla Giustizia andò il ragioniere Orlando. Detto l’“Orlando Curioso”.Da allora gli orizzonti professionali di Gratteri sono cambiati. La politica che lo ha malamente respinto nel suo salto al vertice, pare che lo attragga. E assai lo attrae la polemica politica. E’ entrato a far parte dei magistrati che tengono il broncio allo Stato e gli fanno addebiti d’ogni sorta di debolezze e, peggio, di inconfessabili manovre dietrologiche sul fronte della mafia.
Gratteri, da allora, scrive libri, articoli, presenzia a convegni, snocciola teorie, addita la strada che lo Stato non osa imboccare.
E, soprattutto, è diventato il sostenitore del primato della mafia calabrese. La capitale mondiale della mafia, delle mafie, della criminalità organizzata è a Reggio, o a Rosarno, o a Palmi e oggia RENDE. Si direbbe che è la coscienza di essere il primato dei magistrati antimafia comporti che un primato debba per forza averlo la mafia di sua specifica competenza. O forse è il contrario.Di qui l’ulteriore conseguenza: Se in Calabria è il centro, la capitale, il crocevia delle cosche, delle ‘ndrine, delle varie società delittuose, dalla Calabria deve cominciare la crociata per combatterle e vincerle.Se ne sono resi conto i politici di più vecchia militanza? Vorrei sperare di sì. Sperare che non siano presi solo dalla paura.

Avv. Maximiliano Granata (Legalità Democratica): “Basta con l’Antimafia-Mafiosa. E basta con gli sciacalli dell’Antimafia”

L’articolo pubblicato sull’espresso dell’ 8 Giugno 2021 dal titolo “Calabria, Matteo Salvini dichiara aperta la caccia per le regionali. Stesso copione, nuovi imbarazzi”, dove viene citato non so a quale titolo Cataldo Calabretta o altri e cui esprimo sin d’ora la mia solidarietà, mi induce ad alcun riflessioni:
Si direbbe che qualcosa si stia muovendo nella sconsolante immobilità del Paese, dei suoi giuristi, dei suoi imprenditori, dei suoi abitanti di buon senso e di buonafede di fronte allo scempio del diritto, dell’economia, della civiltà dei rapporti tra governanti e governati consumato in nome di un komeinismo antimafia e di un controriformismo inquisitorio che sono la negazione della nostra stessa società.
Abituati, ma non rassegnati a parlare al vento, a scrivere per esser letti da pochi e rassegnati amici da anni ed anni, può darsi che il nostro sia un sussulto di ottimismo ingiustificato. Ma è nostro dovere, è diritto della nostra non rassegnazione ad esporlo, a tentare di condividerlo con chi, rassegnato, ci ha magari fatti oggetto del suo affettuoso scetticismo.
Lo abbiamo già scritto: c’è un sussulto contro quella particolare ma essenziale forma di demolizione dei fondamenti civili e sociali del nostro diritto penale che sono le “misure di prevenzione”. Antimafia, ma non solo.

Perché il virus velenoso dello sprezzo dei principi, maturato in nome delle emergenze, è sempre destinato ad invadere ed infettare tutto l’organismo del diritto e della civiltà.
Si sono accorti anche i dormienti che sono migliaia gli innocenti, gli inutilmente assolti, le vittime stesse della mafia ad essere depredati dal meccanismo della c.d. “prevenzione”, oltre che dalle Saguto e dai suoi sodali, imitatori e maestri. Si sono accorti che quello delle misure “interdittive” prefettizie di messa al bando di imprese nemmeno indiziate di “infiltrazioni mafiose”, ma “esposte al pericolo di tali infiltrazioni” ha messo in ginocchio la provincia di Reggio Calabria, e quella di Palermo ed altre.
Perché sono giunti a perseguitare, (che in termini di utilità produttiva significa distruggere), imprese, appunto, “esposte al pericolo di infiltrazioni mafiose”. Così le vittime diventano colpevoli, cioè vittime anche di uno sciagurato sciacallaggio antimafia. Che ci ricorda il cinismo dei generali francesi (ma non solo di loro) che sostenevano nel 1917, cento anni fa, che bisognava fucilare un po’ di soldati “per incoraggiare gli altri”.
Potremmo fare volumi e volumi di mostruosità giudiziarie di questo tipo. E qualcuno di noi lo farà, come farà e faremo un’antologia delle cazzate di contorsionisti delle motivazioni con le quali lorsignori coprono questo letamaio con le loro toghe e, magari, con i loro ermellini.
Ma ormai se ne parla. Non siamo solo noi a denunciare lo scempio. Quale che sia il motivo di questo risveglio, solo in questi giorni sulla stampa nazionale, nelle televisioni, qualcuno osa alzar la voce, dire che così non va e non può andare.
E’ ora, però che a parlare siano tutti quelli, almeno, che sanno e, fino ad oggi non osano.
Occorre reagire duramente, contro la Rosy Bindi che, idealmente in pantaloni rossi come i generali francesi del 1917, gracchia che bisogna decimare le imprese “per incoraggiare le altre” sulla via di un radioso avvenire antimafia. Basta con la perfida e ridicola retorica che sa di Sant’Uffizio, di questa antimafia mafiosa e beghina!!!
Bisogna che le vittime di queste soperchierie, quelle che la Santa Inquisizione tornata ad imperversare con i suoi roghi, debbano andare in giro solo col “sambenito”, l’abito del penitente. Comincino col passa-parola a darsi il segnale della ribellione all’ingiustizia della messa al bando e riconoscano chi si batte per far cessare lo scempio che, oramai, è una sciagura, una palla al piede per tutto il Paese. Facciamo circolare gli scritti ribelli.
E basta con le proposte, le invocazioni, di un “miglioramento” di una “correzione”, magari, del codice antimafia. Basta con i ridicoli tentativi di cavar sangue dalle rape, ragionevolezza di un Ministro della Giustizia e di magistrati “moderati”.
Un appello speciale agli avvocati: mettano da parte i loro studi, le loro analisi, (parlo, ad esempio quelli del Consiglio Nazionale Forense) per “correggere” il codice antimafia. non si riducano ad umiliarsi in un dialogo con il Ministro della Giustizia. Parlino invece alla gente. Scrivano sui giornali. Adoperino internet. Diventino agitatori in nome della legalità vera.
L’antimafia, le leggi speciali, la cosiddetta prevenzione sono diventate la vera matrice del rinnovato potere odioso della mafia. Basta con l’Antimafia-Mafiosa. E basta con gli sciacalli dell’Antimafia.

Cosenza” 5 Giorni di musica contro le mafie”: Granata( Legalità Democratica) insieme a Gratteri ci saremo anche noi .

Avv.  Maximiliano Granata ( Legalità democratica)

Sarà il magistrato Nicola Gratteri a dare il via, la mattina del 10 dicembre, all’anteprima di ‘5 Giorni di Musica contro le mafie’, in programma dall’11 al 15 dicembre a Cosenza. Levante, Ex-Otago e Diodato saranno premiati al concerto del 15 dicembre, a chiusura di una settimana di spettacoli, concerti, incontri, cinema, mostre, showcase e show cooking.

Protagonisti agli showcase saranno Erica Mou, Gabriella Martinelli, Chiara Effe, Giulia Mei, La Municipal. La ‘5 Giorni di Musica contro le mafie’, cosi’ come il Premio nazionale Musica contro le mafie – giunto alla 9^ edizione con un record di iscritti – si rivolgono soprattutto a un giovanissimo pubblico. Per questa ragione entrambi dimostrano, sia verso il territorio locale sia per quello nazionale, con esempi tangibili, che e’ possibile innescare un circolo virtuoso di partecipazione intellettiva ed emotiva, individuale e collettiva. (Ansa)

Ci saremo anche noi come Associazione Legalità Democratica per testimoniare la nostra battaglia contro il fenomeno mafioso .