SE SI ABUSA DELL’“ABUSO D’UFFICIO”

In quest’ultimo periodo quando gli “alleati” della maggioranza di Governo, oltre a litigare e scontrarsi per ogni questione da affrontare, sembrava andassero alla ricerca di ogni altra possibile questione sulla quale scannarsi vicendevolmente, è venuta fuori la questione della necessità di abolizione o di riforma del reato di “abuso d’ufficio” (art. 323 c.p.). Norma che, in effetti, tra tutte quelle a disposizione della magistratura, sembrava e sembra la più adatta ad un “uso alternativo della giustizia”. Un uso, cioè, non giusto. Un abuso.
L’art. 323, punisce con una pena (aumentata rispetto a quella originariamente stabilita) della reclusione da uno a quattro anni “il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di Pubblico servizio che, in violazione di leggi o di regolamenti…intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”.
C’è quell’avverbio “intenzionalmente”, che dovrebbe essere la chiave della tipizzazione della condotta incriminata e che, invece, sembra fatto apposta per lasciare la fattispecie “aperta”, cioè tale da poter essere usata per colpire le condotte di amministratori, sindaci, funzionari etc. etc. secondo criteri discrezionali adottati dai magistrati.
A ben vedere quell’”intenzionalmente” non significa nulla o ben poco. E’ un rafforzativo dal carattere doloso del reato (dolo intenzionale). Ma il dolo è sempre “intenzionale” o non è dolo.
La vera chiave della norma non è invece l’”ingiusto” vantaggio procurato dall’azione non conforme alla legge.
Ma, come pure “vantaggio ingiusto” non è una ulteriore specificazione (e tipizzazione) della condotta in quanto, a ben vedere dalla miscela delle parole non si ricava affatto che il vantaggio patrimoniale sia la finalità dell’azione del P.U. E’ solo una conseguenza di un’azione “intenzionale”, di un’azione, cioè che benché intenzionalmente compiuta in violazione della legge così sia eventualmente, però stata concepita e realizzata per un fine diverso (evitare le complicazioni di un concorso, provvedere con maggiore sollecitudine etc. etc.).
In genere è proprio l’abbondanza degli avverbi che rende la fattispecie penale suscettibile di interpretazioni sostanzialmente devianti.
D’altra parte il concetto stesso di “abuso” dovrebbe contenere una qualificazione tale da definirne la finalità difforme non solo da norme relative alla norma, ma a principio etico etc. alle generali e fondamentali finalità dell’Amministrazione.
Aver violato una norma di legge sui concorsi, sapendo di poter disporre di un soggetto (conferire, ad esempio, un incarico, un lavoro etc. con il conseguente vantaggio patrimoniale), conosciuto magari, per la straordinaria capacità sulla materia, non dovrebbe potersi definire un “abuso” ma la miscela delle parole dell’art. 323 consente di farlo e, secondo la grande maggioranza dei magistrati, lo impone.
Sta di fatto che il reato di abuso d’ufficio è divenuto, in una situazione in cui tante più gravi condotte di indiscutibili devianze del retto amministratore si consumano quotidianamente, uno strumento per colpire amministratori d’altra tendenza politica, riottosi, indocili.
Addirittura per creare quella atmosfera di terrore, nella quale proprio la parte buona dell’Amministrazione finisce per agire, o, magari, per non agire come l’interesse pubblico, oltre che quello privato dell’Amministratore o del funzionario, imporrebbe.
D’altra parte i sostenitori della necessità di mantenere l’art. 323 c.p. così com’è (e di usarla del modo in cui certi magistrati la adoperano), invocano per respingere ogni critica all’idoneità della norma, la necessità di disporne da parte delle Procure, di adeguati mezzi di controllo delle Pubbliche Amministrazioni.
Un controllo che, almeno in senso e modo diretto le Procure e l’Ordine Giudiziario non hanno e non devono averlo sull’attività amministrativa.
Discutere la necessità di rivedere la struttura del reato di cui all’art. 323 non è dunque pretesa di togliere ogni limite e vincolo di legalità e di scappatoia per (non precisati) abusi. E’, invece cosa opportuna e necessaria.
Il che, peraltro, implica che si sia capaci di evitare, qualche altro inutile fastello di parole.

PS: Mi dispiace che qualche sprovveduto abbia ritenuto avvertirmi che questo articolo portava già la firma dell’avv. Francesco Vitozzi che all’epoca era nello studio di Mauro Mellini,mio mentore ed esponente di primo piano del diritto. Questo articolo poi firmato da Francesco, mi sembra nel 2019, nasce dalle cosniderazioni mie e di Mauro relative all’art. 323 c.p. Abuso d’ufficio. Ho sempre sostenuto le idee e gli scritti di Mauro che mi piace sempre rievocare. Sono le nostre battaglie che oggi camminano sulle mie gambe e su quelle di tanti brillanti colleghi. Non ho bisogno nè voglia di dar conto a chicchesia, e tanto meno all’immondizia del web dei miei scritti e di quelli di Mauro, che saranno pubblicati sul mio blog .

Print Friendly, PDF & Email