SE SI ABUSA DELL’“ABUSO D’UFFICIO”

In quest’ultimo periodo quando gli “alleati” della maggioranza di Governo, oltre a litigare e scontrarsi per ogni questione da affrontare, sembrava andassero alla ricerca di ogni altra possibile questione sulla quale scannarsi vicendevolmente, è venuta fuori la questione della necessità di abolizione o di riforma del reato di “abuso d’ufficio” (art. 323 c.p.). Norma che, in effetti, tra tutte quelle a disposizione della magistratura, sembrava e sembra la più adatta ad un “uso alternativo della giustizia”. Un uso, cioè, non giusto. Un abuso.
L’art. 323, punisce con una pena (aumentata rispetto a quella originariamente stabilita) della reclusione da uno a quattro anni “il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di Pubblico servizio che, in violazione di leggi o di regolamenti…intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”.
C’è quell’avverbio “intenzionalmente”, che dovrebbe essere la chiave della tipizzazione della condotta incriminata e che, invece, sembra fatto apposta per lasciare la fattispecie “aperta”, cioè tale da poter essere usata per colpire le condotte di amministratori, sindaci, funzionari etc. etc. secondo criteri discrezionali adottati dai magistrati.
A ben vedere quell’”intenzionalmente” non significa nulla o ben poco. E’ un rafforzativo dal carattere doloso del reato (dolo intenzionale). Ma il dolo è sempre “intenzionale” o non è dolo.
La vera chiave della norma non è invece l’”ingiusto” vantaggio procurato dall’azione non conforme alla legge.
Ma, come pure “vantaggio ingiusto” non è una ulteriore specificazione (e tipizzazione) della condotta in quanto, a ben vedere dalla miscela delle parole non si ricava affatto che il vantaggio patrimoniale sia la finalità dell’azione del P.U. E’ solo una conseguenza di un’azione “intenzionale”, di un’azione, cioè che benché intenzionalmente compiuta in violazione della legge così sia eventualmente, però stata concepita e realizzata per un fine diverso (evitare le complicazioni di un concorso, provvedere con maggiore sollecitudine etc. etc.).
In genere è proprio l’abbondanza degli avverbi che rende la fattispecie penale suscettibile di interpretazioni sostanzialmente devianti.
D’altra parte il concetto stesso di “abuso” dovrebbe contenere una qualificazione tale da definirne la finalità difforme non solo da norme relative alla norma, ma a principio etico etc. alle generali e fondamentali finalità dell’Amministrazione.
Aver violato una norma di legge sui concorsi, sapendo di poter disporre di un soggetto (conferire, ad esempio, un incarico, un lavoro etc. con il conseguente vantaggio patrimoniale), conosciuto magari, per la straordinaria capacità sulla materia, non dovrebbe potersi definire un “abuso” ma la miscela delle parole dell’art. 323 consente di farlo e, secondo la grande maggioranza dei magistrati, lo impone.
Sta di fatto che il reato di abuso d’ufficio è divenuto, in una situazione in cui tante più gravi condotte di indiscutibili devianze del retto amministratore si consumano quotidianamente, uno strumento per colpire amministratori d’altra tendenza politica, riottosi, indocili.
Addirittura per creare quella atmosfera di terrore, nella quale proprio la parte buona dell’Amministrazione finisce per agire, o, magari, per non agire come l’interesse pubblico, oltre che quello privato dell’Amministratore o del funzionario, imporrebbe.
D’altra parte i sostenitori della necessità di mantenere l’art. 323 c.p. così com’è (e di usarla del modo in cui certi magistrati la adoperano), invocano per respingere ogni critica all’idoneità della norma, la necessità di disporne da parte delle Procure, di adeguati mezzi di controllo delle Pubbliche Amministrazioni.
Un controllo che, almeno in senso e modo diretto le Procure e l’Ordine Giudiziario non hanno e non devono averlo sull’attività amministrativa.
Discutere la necessità di rivedere la struttura del reato di cui all’art. 323 non è dunque pretesa di togliere ogni limite e vincolo di legalità e di scappatoia per (non precisati) abusi. E’, invece cosa opportuna e necessaria.
Il che, peraltro, implica che si sia capaci di evitare, qualche altro inutile fastello di parole.

PS: Mi dispiace che qualche sprovveduto abbia ritenuto avvertirmi che questo articolo portava già la firma dell’avv. Francesco Vitozzi che all’epoca era nello studio di Mauro Mellini,mio mentore ed esponente di primo piano del diritto. Questo articolo poi firmato da Francesco, mi sembra nel 2019, nasce dalle cosniderazioni mie e di Mauro relative all’art. 323 c.p. Abuso d’ufficio. Ho sempre sostenuto le idee e gli scritti di Mauro che mi piace sempre rievocare. Sono le nostre battaglie che oggi camminano sulle mie gambe e su quelle di tanti brillanti colleghi. Non ho bisogno nè voglia di dar conto a chicchesia, e tanto meno all’immondizia del web dei miei scritti e di quelli di Mauro, che saranno pubblicati sul mio blog .

L’abuso d’ufficio andrebbe abrogato.Il potere è bello perchè se ne puo’ abusare.

Concordo con la tesi di alcuni giuristi importanti sul piano nazionale.”Storicamente il problema più evidente dell’abuso di ufficio è la sua indeterminatezza e la sua mancanza di precisione nel definire le condotte punibili. È un problema che si porta dietro dal 1930 ad oggi.Com’è noto la norma ha subìto una serie di modifiche (1990, 1997, 2012, 2020) segnate dal tentativo ciclico di precisare i connotati della condotta punibile. Tutte queste riforme hanno fallito nel loro intento. Il vero problema è il seguente: stiamo arrivando – ma ciò non riguarda solo l’abuso di ufficio ma anche altre ipotesi, come, ad esempio, il traffico di influenze – a un diritto penale dell’atipicità e della indeterminatezza. Ciò contrasta con i canoni dell’articolo 25 della Costituzione e finisce per scaricare il compito di definire il contorno delle condotte punibili sulla magistratura, soprattutto requirente. Si tratta di una tendenza purtroppo ripetuta: persino nella recente riforma Cartabia il tema della improcedibilità è segnato negativamente da una eccessiva discrezionalità data ai giudici che possono avallare proroghe su proroghe in base ad una loro valutazione sostanzialmente incontrollabile. A causa di questa indeterminatezza e con questa elasticità della norma penale incriminatrice si è ingenerato com’è noto il fenomeno della “paura della firma” da parte degli appartenenti alla Pubblica Amministrazione (Pa), che si inquadra nel meccanismo perverso della burocrazia difensiva: pur di non firmare, i burocrati si fanno legare le mani dietro la schiena. Questo comporta un immobilismo della Pa che si riflette in un immobilismo del Paese. Tanto più in tempi di crisi economica e di ripartenza, che la Pa freni le proprie attività e quelle dei cittadini per paura di prendere qualsiasi iniziativa non è una cosa positiva. Si trasforma la responsabilità penale in una vera e propria responsabilità di posizione, per cui si risponde di un reato semplicemente perché si ricopre una determinata funzione, quasi a titolo di responsabilità oggettiva. Questo è inaccettabile. Vorrei chiarire un punto.A partire almeno dal 1992 sembra quasi che il vero problema, prevalente se non esclusivo, sia quello del contrasto alla corruzione e al malaffare. Si tratta chiaramente di una preoccupazione seria che merita di essere considerata. Tuttavia, probabilmente, facendo ciò, ossia spostando tutto solo sul versante della repressione penale, si è trascurato l’altro aspetto della questione, non meno importante, anzi: l’efficienza della Pa. Una buona amministrazione richiede un minimo intervento penale, una pessima amministrazione finisce per richiedere un invasivo intervento penale, che però si rivela sterile perché non rende più efficiente il sistema.Parzialmente d’accordo. La mia opinione è che l’abuso d’ufficio finisca per essere una norma inutile se non dannosa. Questo tecnicamente emerge dal fatto che lo stesso legislatore si rende conto che molto probabilmente l’abuso d’ufficio si sovrappone ad altre fattispecie di reato più gravi. La clausola di riserva che c’è nell’articolo 323 c.p. (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”) è una chiara presa di coscienza che questo articolo nella gran parte dei casi non si può applicare perché esiste una fattispecie incriminatrice più grave. Forse sarebbe stato meglio prendere fino in fondo coscienza di questa situazione per arrivare ad abrogare l’articolo 323 c.p.. Ciò non significa che le condotte più gravi diverrebbero penalmente irrilevanti, anzi sarebbero più facilmente incanalate in norme penali già esistenti, quali la corruzione, la concussione o il peculato.Fare una riforma esclusivamente a favore dei sindaci rischia di essere letta come una azione della politica che difende soltanto i politici. E poi, perché pensare solo ai sindaci e non, ad esempio, ai presidenti di Regione? E i responsabili di organismi pubblici, come Asl e Università, dobbiamo abbandonarli al loro destino? E in generale, perché non fare una norma che riguardi tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio? Non vorrei che si salvi il sindaco e si abbandonino i funzionari del Comune. Così la riforma sarebbe inutile, perché la ‘paura della firma’ si trasferirebbe dal primo cittadino ai dirigenti comunali. E se questi ultimi non firmano, siamo al punto di partenza. Quindi la criticità della proposta di Parrini è proprio nel fatto che guarda soltanto i sindaci.Noi abbiamo vissuto un lungo periodo, che ha una sua data di nascita probabilmente nella vicenda di Mani Pulite, in cui a poco a poco abbiamo visto rincorrersi una schiera di soggetti che volevano autoqualificarsi come puri, più puri dei puri. C’è stata una cascata di leggi illiberali e liberticide, tra cui buona parte della Legge Severino. Essa contrasta con i principi del giusto processo e della presunzione di non colpevolezza e in qualche modo interferisce con la libera scelta dei cittadini verso i loro candidati, investiti da vicende penali ancora non concluse.” Il Mio amico e mentore Mauro Mellini mi ricordava sempre che un suo vecchio amico magistrato gli ricordava sempre “Il potere è bello perchè se ne puo’ abusare”. Io sorridendo nei nostri tramonti estivi, CHI PERSEGUE L’ABUSO DELL’ABUSO ? Mauro io e te non abbiamo El Miedo. Lo dichiara il presidente dell’Associazione Legalità Democratica Avv. Maximiliano Granata.

NEL P.d.M. CHE SI SGRETOLA L’ALA DEMENZIALE DA’ SPETTACOLO di Mauro Mellini

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Il Partito dei Magistrati, quello che ormai da tempo, rinunziando a miraggi propriamente golpisti, si è arroccato in un’azione di quotidiana, abituale pressione intimidatoria sulla classe politica, è in crisi. Rischia persino di essere travolto dalla ventata anticorruzione che esso stesso ha alimentato e di cui ha fatto lo strumento più potente.

L’ala delle sceneggiate palermitane antimafia, delle imprese elettorali degli Ingroia, della piattaforma mediatica a suon di “cittadinanze onorarie”, ha perso smalto ed è passata in retrovia. Per mesi non avevamo più inteso parlare del suo primo attore, l’ineffabile “Cittadino di Cento Città”.

Oggi si torna a fare il suo nome.

Il pretesto non è nulla di eccezionale. Da tempo, da sempre, Di Matteo, si è valso dei clamori di terribili denunzie di occulte manovre contro la sua persona e contro ciò che egli pretende che essa rappresenti, quale strumento per spuntarla nelle (per lui frequenti) diatribe e controversie in cui incorre nella sua vita professionale.

Con la collezione delle “cittadinanze onorarie” era caduta anche la frequenza di tali episodi. Oggi, un normale provvedimento di governo dell’Ufficio di cui fa parte, la Direzione Nazionale Antimafia, con cui il Procuratore Generale lo ha spostato da un (in sé, oramai un po’ ridicolo) reparto di indagini sulle famose stragi degli anni 1991-1994, ha fatto esplodere quella che sembra la battaglia finale dei fuochi d’artificio dell’ala demenziale palermitana del Partito dei Magistrati (e dei loro tirapiedi).

Si è gridato e si grida ancora all’attentato alla carriera ed, implicitamente ed esplicitamente, alla vita del “più minacciato” (perché, condannato a morte dal fu Totò Riina). Condanna che secondo una banda di pennivendoli della sua corte dovrebbe costituire titolo per assecondarlo in ogni sua pretesa ed aspirazione. “Un passo falso quello del Procuratore Nazionale Antimafia De Raho, accecato dall’odio”. Si legge in un articolo di Lodato su “Antimafia 2000”.

L’articolo è pieno di frasi di grande efficacia comica (come quella di una fretta inspiegabile nel voler chiudere le indagini sulle stragi che, se non erro, durano da più di un quarto di secolo!).

Ma ci sono allusioni ai rapporti degli Italiani con il potere, che dato il momento, autorizzerebbero, anche chi ha sempre respinto le dietrologie di oscuri maneggi, a ritenere che essi siano legati alla più ampia questione delle sorti del Partito dei Magistrati. Ma il bello di tale articolo è la frase e la frase “Tremano i palazzi del Potere. Come non mai. Perché Antonino Di Matteo appare sempre più agli Italiani come il nuovo Giovanni Falcone”. Bum!!

Non dico a nessuno di andare a leggere quello sciagurato scritto. Ma mi pongo un interrogativo. Articoli simili (ve ne sono stati altri di non troppo inferiore effetto comico) su “Antimafia 2000”. Il valersi di tale periodico notoriamente diretto da un guru come il frontecrociato Bongiovanni, del battage pubblicitario di quel livello, per non parlare del non dimenticato vezzo della collezione delle “cittadinanze onorarie”, (a proposito non si sono compiuti un bel po’ di reati di abusi d’ufficio?) sono tutti fatti che anche se non compiuti direttamente da Di Matteo, sono stati e sono, nel loro complesso ed anche singolarmente, da lui accettati assumendone le responsabilità morali, disciplinari e professionali.

Se si deve parlare di rinnovamento della giustizia, di freni a certe esorbitanze etc. etc. non sarebbe il caso che qualcuno prendesse l’iniziativa di un solenne procedimento disciplinare contro un simile, teatrale personaggio di una poco commendevole commedia dell’arte?

E non sarebbe il caso di fare un po’ di conti per vedere, ad esempio, quanto è costata la ridicola, famelica collezione di “cittadinanze onorarie”?

Oppure Di Matteo è al di sopra di ogni regola disciplinare e di ogni responsabilità, anche patrimoniale, per le sceneggiate imbastite attorno alla sua persona?

Mauro Mellini

Contraccolpi nella Magistratura di Mauro Mellini

Contraccolpi nella Magistratura

Ho già avuto modo di scrivere che queste elezioni-terremoto, oltre a segnare una caduta che difficilmente potrà arrestarsi del grottesco “coso” 5 Stelle, e, di contro, la folgorante vittoria di Matteo Salvini e della Lega, hanno comportato anche la sconfitta, oltre che del Cattolicesimo populista di Papa Bergoglio (di cui bisognerà pure parlare), del Partito dei Magistrati.

Voci di una colossale “retata” di politici, che avrebbe dovuto precedere il voto del 26 maggio erano forse del tutto infondate. Ma è certo che se un proposito di intervento omogeno e “pianificato” c’è stato (e c’è) esso si è sgretolato ed è ridotto in frammenti confusi. E la reazione all’uso alternativo della giustizia, messo in atto con la “abituale” contestazione a destra e a manca di reati per lo più di abuso d’ufficio, immaginari in linea di fatto e stravaganti in linea di diritto, si è fatta sentire e non è detto che non sortisca effetti al di là dell’uso nella polemica elettorale.

Ma la cosa che più ha colpito l’opinione pubblica è stato l’apparire del fantasma (ci auguriamo che sia solo un fantasma) di contestazione di corruzione all’interno della stessa Magistratura.

Che in un Paese in cui la corruzione è tanto diffusa (anche se non quanto e con le modalità che sono affermate da quanti hanno interesse a tenere la classe politica sotto il giogo del discredito ed del timore di cadere nella rete giudiziaria) solo la Magistratura sia immune da questa tabe, è più che improbabile, impossibile.

Ma qui la cosa, in sé, grave e piena di conseguenze funeste, è da considerare ai fini delle valutazioni del potere che il Partito dei Magistrati, la pressione ed il timore da essi fatte gravare sulla classe politica ne dovranno pur fare.

Se veramente Salvini ha intenzione e possibilità di portare avanti la sua azione contro l’intimidazione giudiziaria che grava il Paese, questo è il momento in cui la gente comincia ad aprire gli occhi sulla reale sciagura di una Magistratura che più che della giustizia, sembra preoccupata dell’”uso alternativo” di essa.

Un “uso alternativo” che significa necessariamente ingiustizia, come, dopo decenni di teorizzazioni venefiche, ammantate di marxismo, comincia ad essere visibile e concreta.

Vedremo se alle parole seguiranno i fatti. Vedremo pure se la vocazione dei 5 Stelle di far la parte, di fatto, dei tirapiedi delle più becere Procure, si esaurirà o se certe perversità siano invece entrate nel Dna della politica e della vita sociale. Vedremo. E non ci sarà molto da attendere.

Mauro Mellini

Non conosco Marcello Pittella, ma della innocenza del quale ho una presunzione almeno doppia, i miei auguri .

Marcello Pittella

Basilicata Caso Pittella : Magistratura penale invasiva, nel sud si arresta per abuso. Non conosco Marcello Pittella, ma della innocenza del quale ho una presunzione almeno doppia, i miei auguri .

Ci sono materie di studio nei corsi universitari che appaiono talvolta superflue e “ornamentali”. Poi, magari a distanza di decenni ti ritrovi ad evocare i rimasugli di ciò che hai dovuto apprendere per meglio comprendere l’incombente attualità di “questioni del mestiere”. Così trattando oggi il delicato e gravissimo problema dell’invasività della giurisdizione penale nell’ambito di altri poteri dello Stato, mi accade di richiamare alla memoria il detto di un giurista medievale, che, nella disputa tra Regalisti e Curialisti (i ghibellini ed i guelfi del diritto) scrisse: “Dominus Papa, ratione peccati, intromittit se de omnibus” (il Signor Papa, con la scusa del peccato si impiccia di tutto), tanto per usare un linguaggio alla buona.
Oggi “Intromittunt se de omnibus”, si impicciano di tutto, i P.M. ed i Giudici penali.
Perseguire i reati, veri o immaginari è la chiave per l’accesso all’esercizio, di fatto, del potere esecutivo e della stessa “politica”.
Oggi “Intromittunt se de omnibus”, si impicciano di tutto, i P.M. ed i Giudici penali.
Perseguire i reati, veri o immaginari è la chiave per l’accesso all’esercizio, di fatto, del potere esecutivo e della stessa “politica”.
Quando, invece, secondo il fondamentale principio della divisione dei poteri, si imporrebbe una netta separazione tra il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario. Una separazione teorizzata due secoli e mezzo fa e realizzata faticosamente con la creazione dello Stato moderno e l’avvento delle libere istituzioni.
Assieme all’”intromittere se de omnibus” dei P.M. e dei Giudici Ordinari fiorisce uno strano fenomeno: quello di una “specializzazione”, non nelle funzioni, ma nell’abuso di quegli strumenti che la legge (in verità sempre più sgangherata al riguardo nelle sue “novità”) fornisce agli scalpitanti magistrati “ratione peccati” per perseguire i reati.
E poiché nella legislazione criminale ci si accosta sempre più alle tesi che, con una spolverata di retorica democratica e di argomentazioni sociologiche, sono pur sempre quelle della giustizia nazista (punire chi è capace e proclive a commettere un reato senza che debba proprio averlo commesso) lo sbandamento ed il debordare diventa invasione del potere esecutivo e della politica. Ma, abbandonando la “divisione dei poteri” sembra che le diverse istituzioni territoriali giudiziarie si “specializzino”, come dicevamo poc’anzi, nel tipo di utilizzazione distorta, oltre che nella stessa distorsione “dei mezzi giudiziari”.
Al momento direi che il culmine della “specializzazione”, quello nell’uso di certi articoli del codice, è raggiunto nel mezzogiorno, dove dei magistrati hanno scoperto le norme del codice di procedura penale che consentono l’interdizione temporanea da funzioni, cariche, professioni, etc.
C’è la tendenza ad interdire o ad arrestare, più che una determinata funzione effettivamente connessa col reato la partecipazione alla vita sociale del soggetto. Una punizione anticipata della “capacità a delinquere”.
Un’analisi puntuale, coraggiosa e senza reticenza dei “casi” di giustizia ingiusta è quindi attività che si traduce anche in difesa dei principi fondamentali dello Stato libero e democratico. E’ con tale attività di puntuale e, magari, puntiglioso studio ed analisi e di denunzia delle patologie giudiziarie che si fa seriamente la battaglia non solo per la Giustizia Giusta, ma per quella della difesa delle libere istituzioni nel loro globale ed inscindibile complesso. E che si distingue dalle vaghe predicazioni di certi profeti di sé stessi comodamente scambiati per innovatori, di nostra conoscenza ed esperienza.
Queste considerazioni nascono dal caso del governatore della Basilicata Marcello Pittella, che non conosco ma della innocenza del quale ho una presunzione almeno doppia, i miei auguri .
“ In dubio pro reo” .
Non diciamo altro che: continueremo finché avremo fiato e forza per farlo.
Il Presidente
Associazione Legalità Democatica
Avv. Maximiliano Granata
07.07.2018

Maximiliano Granata (Legalità Democratica) : Magistratura Penale Invasiva

Avv. Maximiliano Granata

Maximiliano Granata Legalità Democratica
Magistratura Penale Invasiva, in Calabria i PM si sono specializzati nel reato di abuso .
Serve una banca dati sulle baggianate giudiziarie .

Ci sono materie di studio nei corsi universitari che appaiono talvolta superflue e “ornamentali”. Poi, magari a distanza di decenni ti ritrovi ad evocare i rimasugli di ciò che hai dovuto apprendere per meglio comprendere l’incombente attualità di “questioni del mestiere”. Così trattando oggi il delicato e gravissimo problema dell’invasività della giurisdizione penale nell’ambito di altri poteri dello Stato, mi accade di richiamare alla memoria il detto di un giurista medievale, che, nella disputa tra Regalisti e Curialisti (i ghibellini ed i guelfi del diritto) scrisse: “Dominus Papa, ratione peccati, intromittit se de omnibus” (il Signor Papa, con la scusa del peccato si impiccia di tutto), tanto per usare un linguaggio alla buona.
Oggi “Intromittunt se de omnibus”, si impicciano di tutto, i P.M. ed i Giudici penali.
Perseguire i reati, veri o immaginari è la chiave per l’accesso all’esercizio, di fatto, del potere esecutivo e della stessa “politica”.
Quando, invece, secondo il fondamentale principio della divisione dei poteri, si imporrebbe una netta separazione tra il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario. Una separazione teorizzata due secoli e mezzo fa e realizzata faticosamente con la creazione dello Stato moderno e l’avvento delle libere istituzioni.
Assieme all’”intromittere se de omnibus” dei P.M. e dei Giudici Ordinari fiorisce uno strano fenomeno: quello di una “specializzazione”, non nelle funzioni, ma nell’abuso di quegli strumenti che la legge (in verità sempre più sgangherata al riguardo nelle sue “novità”) fornisce agli scalpitanti magistrati “ratione peccati” per perseguire i reati.
E poiché nella legislazione criminale ci si accosta sempre più alle tesi che, con una spolverata di retorica democratica e di argomentazioni sociologiche, sono pur sempre quelle della giustizia nazista (punire chi è capace e proclive a commettere un reato senza che debba proprio averlo commesso) lo sbandamento ed il debordare diventa invasione del potere esecutivo e della politica. Ma, abbandonando la “divisione dei poteri” sembra che le diverse istituzioni territoriali giudiziarie si “specializzino”, come dicevamo poc’anzi, nel tipo di utilizzazione distorta, oltre che nella stessa distorsione “dei mezzi giudiziari”.
A Milano la più “ovvia” delle forme e dell’abuso, quella della custodia cautelare e della revoca di essa al momento opportuno, creò con il sistema “ti arresto, tu fai i nomi di altri, io ti mando a casa ed arresto quegli altri” l’operazione di invasione nel campo politico operata dall’equipe di “Mani Pulite” che risultò la più colossale di tutti i tempi, addirittura con la fine della Prima Repubblica e l’avvento di un simulacro di Seconda.
C’è poi la “specializzazione” per “materia”: a Torino reati “ambientali”, a Potenza reati dei “VIP antipatici”.
Nella città di Cosenza e in Calabria i pubblici ministeri si sono specializzati per i reati di abuso .
Un’analisi puntuale, coraggiosa e senza reticenza dei “casi” di giustizia ingiusta (penso all’impegno di Patrizio Rovelli per l’Osservatorio della giustizia e la banca dati sulle baggianate giudiziarie) è quindi attività che si traduce anche in difesa dei principi fondamentali dello Stato libero e democratico. E’ con tale attività di puntuale e, magari, puntiglioso studio ed analisi e di denunzia delle patologie giudiziarie che si fa seriamente la battaglia non solo per la Giustizia Giusta, ma per quella della difesa delle libere istituzioni nel loro globale ed inscindibile complesso. E che si distingue dalle vaghe predicazioni di certi profeti di sé stessi comodamente scambiati per innovatori, di nostra conoscenza ed esperienza.
Non diciamo altro che: continueremo finché avremo fiato e forza per farlo.

Presidente
Associazione Legalità Democratica
Avv. Maximiliano Granata

15.05.2018

L’Avv. Maximiliano Granata, affronteremo a testa alta il giudizio. Già provvedimenti a mio favore dalla Cassazione e dal Tribunale del Riesame.

Affronteremo a testa alta il giudizio: Provvedimenti già annullati dalla Suprema Corte di Cassazione per inutilizzabilità delle intercettazioni e dal Tribunale del Riesame, dove si esclude la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a mio carico .

Affronteremo a testa alta il giudizio anche per cercare di capire quali siano gli elementi a sostegno dell’accusa, anche perchè per come afferma l’Avv. Antonio Ingroia i primi che leggono gli atti facendo un vaglio effettivo sono i giudici del dibattimento. A parte le intercettazioni inutilizzabili per come affermato dalla suprema Corte di Cassazione, già per come in atti, Il Tribunale del Riesame di Catanzaro in sede di rinvio della Corte Suprema di Cassazione, che aveva annullato un opposto provvedimento dello stesso Tribunale del Riesame di rigetto del ricorso, aveva revocato un provvedimento di “sospensione cautelare”  dalla mia carica di Presidente del Consorzio Valle del Crati per un supposto “concorso in sconfinamento scopatorio” nell’abitato di Cosenza di venti o trenta metri.

Tra l’altro il Tribunale del Riesame, entrando nel merito della questione, chiarisce che non puo’ ricondursi a disposizione proveniente da Granata Maximiliano l’attività di spazzamento all’interno degli spazi di pertinenza dell’ Eden Park, nelle sue conclusioni cosi recita “le superiori considerazioni conducono, ad avviso del collegio, a escludere, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di Granata Maximiliano, in ordine sia al delitto di abuso d’ufficio, prefigurato dal pubblico ministero nella richiesta di misura cautelare, nonché, e a maggior ragione, del delitto di corruzione per atto contrario ai propri doveri d’ufficio. L’appello va, quindi, accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza del GIP Tribunale di Cosenza  12 Dicembre 2016 e cessazione della misura cautelare della sospensione dall’esercizio di Presidente del consiglio di amministrazione del Consorzio Valle Crati . Concordo con L’avv. Antonio Ingroia quando dichiara “ sono pressoché inesistenti i casi in cui, davanti alle richieste di rinvio a giudizio formulate dalla Procura, il giudice dell’udienza preliminare emetta sentenza di non luogo a provvedere. Così come sono sostanzialmente inesistenti i casi in cui i giudici non accolgano l’archiviazione dei pm. I provvedimenti sono sovrapponibili. L’udienza preliminare, da “filtro” per evitare dibattimenti inutili, si è trasformata in un mero passaggio obbligato dall’esito scontato. A tal punto che sta prendendo piede la prassi difensiva di richiedere il giudizio immediato e saltare un passaggio che in concreto si rivela inutile prima del processo.

Avv. Maximiliano Granata

1.03.2018

Vincenzo Granata sta facendo un buon lavoro. Gli amministratori vanno tutelati . Interviene il Presidente del Consorzio Valle Crati.

Sulle proposte programmatiche, del Consigliere Nazionale ANCI Vincenzo Granata,  da sottoporre alle forze politiche alle prossime elezioni, relative alla depenalizzazione dell’abuso d’ufficio e alla tutela dei Sindaci e degli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni, arrivano le adesioni di 23 amministratori di Comuni importanti della Calabria al suo documento .

Il Presidente del Consorzio Valle Crati Maximiliano Granata, condivide totalmente il documento programmatico del Consigliere Nazionale dell’ANCI Vincenzo Granata che va sostenuto nella sua azione di tutela dei Sindaci e degli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni. La contestazione dell’ abuso d’ufficio, reato con una fattispecie di delicata struttura, ma che certamente non comporta la criminalizzazione di ogni violazione di legge nell’attività amministrativa. Ed invece, in questa eversione del sistema costituzionale attraverso le forzature di quello penale, anche qui si pretende che ogni violazione di norme procedurali da parte di amministratori e pubblici funzionari, sia abuso. Il che è una solenne e pericolosa sciocchezza. Abuso si ha solo quando l’atto, oltre che violatore di leggi e di regolamenti, abbia finalità in sé illecite completamente estranee a quelle della Pubblica Amministrazione.

Ecco gli aderenti al documento del Consigliere Nazionale ANCI sulla depenalizzazione dell’ abuso d’ufficio e sulla proposta di modifica della legge Severino .

Il consigliere comunale di Cosenza e Consigliere Nazionale ANCI Vincenzo Granata
Il Presidente del Consorzio Valle Crati Maximiliano Granata
il Sindaco del Comune di Cosenza Mario Occhiuto
Il Sindaco del Comune di Rota Greca Roberto Albano
Il Presidente del consiglio comunale di Cosenza Pierluigi Caputo
Il consigliere comunale di Cosenza Fabio Falcone
Il consigliere comunale di Cosenza Gaetano Cairo
Il consigliere comunale di Cosenza Pasquale Sconosciuto
Il consigliere comunale di Cosenza Giovanni Cipparrone
Il consigliere comunale di Cosenza Gisberto Spadafora
Il consigliere comunale di Cosenza Giuseppe D’ippolito
L’assessore al Comune di Cosenza Michelangelo Spataro
Il consigliere comunale di Rende e consigliere provinciale di Cosenza Eugenio Aceto
Il consigliere comunale di Rose Osvaldo Ferro
L’Assessore al comune di Domanico Andrea Fiorino
Il Vicesindaco del Comune di Dipignano Gianpaolo Nardi
Il consigliere comunale di Nocera Terinese Rosario Aragona
Il consigliere comunale di Paola Josè Grupillo
Il consigliere comunale di Montalto Uffugo Marco Bosco
Il consigliere comunale di Dipignano Massimiliano Fuoco
L’assessore al Comune di Montalto Livia Puntillo
Il consigliere comunale di Rende Gaetano Morrone
Il consigliere comunale di Rende Antonello Elia

Le adesioni continuano