Io e il mio amico Mauro Mellini non abbiamo “El Miedo”, la paura di parlare: Il fallimento del Partito dei Magistrati in Italia e in Calabria.

Dopo aver letto i contenuti della chat di Palamara, tornano nella mia mente i tramonti estivi presso Belvedere Marittimo in Calabria, dove con il mio mentore e amico Mauro Mellini con tono ironico evidenziavamo la paura di parlare della classe politica calabrese, massacrata dalla disinvoltura con cui i solerti pubblici ministeri applicavano le misure cautelari per il reato di abuso d’ufficio, poi successivamente annullate dal tribunale del Riesame. Mauro Mellini identifica la paura con il termine spagnolo “El Miedo”. Subito dopo questo termine è stato utilizzato molto nelle nostre discussioni sui temi di giustizia. Con Mauro abbiamo la stessa visione e non abbiamo “El Miedo”, la paura di parlare dei temi di giustizia in Italia e in Calabria. Per questi motivi tornano di attualità alcune considerazioni fatte nei mesi passati da Mauro Mellini già componente del CSM e parlamentare radicale noto per le sue battaglie garantiste. “Il Partito dei Magistrati, quello che si era proposto come il gestore di un’operazione politico-istituzionale che avrebbe dovuto colpire la classe politica nel suo complesso, dopo aver colpito ed annientato partiti e settori specifici della politica e delle amministrazioni, è fallito. La corruzione, da esso sfruttata contestandola dove c’era e c’è e dove non c’è, emerge ora come caratteristica di quelli che si erano imposti come i padroni della moralità pubblica, manovratori del linciaggio dei media in danno di uomini d’ogni livello, colpevoli e, soprattutto, innocenti. Quelli, insomma, che scalpitavano per “mettere a posto l’Italia”.

Travolto dalla corruzione, e dallo stesso “uso alternativo della giustizia” che lo aveva reso temibile ed intoccabile, va in rovina un altro partito: quello dei Magistrati. Con il Consiglio superiore della magistratura paralizzato e sputtanato, con una facilmente prevedibile presunzione di corruzione totale e non solo per il meccanismo dell’attribuzione delle cariche, la Magistratura, nel suo complesso, rischia di essere travolta da un’ondata di discredito che non le consentirà più di presentarsi come “ultima speranza” per la moralità e la rettitudine nella vita del Paese. Piercamillo Davigo è costretto a tacere dopo aver imperversato con le sue aggressioni ed i suoi insulti.

Come già per le ondate di linciaggio mediatico che, partite dalle Procure, hanno colpito e stravolto la vita sociale e politica negli scorsi anni, a farne le spese saranno i magistrati non solo quelli truffaldini, mestatori, insofferenti di ogni limite e di ogni regola di compostezza nelle loro funzioni, ma forse, ancor di più, quelli che non hanno cessato di applicare e rispettare la legge.

Crolla il Partito dei Magistrati, tramontano le prospettive di una sua sopraffazione globale degli altri pubblici poteri. Ma, al contempo, non cessano e non perdono potere e velleità di emergere proprio i peggiori, gli inventori di “compiti” personali, gli aspiranti a “passare alla politica”, quelli che sentono un irrefrenabile impulso, come diceva un certo magistrato mio coetaneo simulando lo scherzo: “Il potere è bello perché se ne può abusare!”.

Non finirà lo squadrismo giudiziario di certi Procuratori di nostra e di vostra conoscenza, sempre alla ricerca di occasioni per l’imposizione di un “timore reverenziale”, che è assai poi poco reverenziale e degno di riverenza e somiglia molto alla intimazione ed al “rispetto” mafiosi. Sarebbe questo il momento in cui la classe politica potrebbe riguadagnare la dignità e libertà del suo ruolo e liberarsi dalla gabbia di pausa in cui si è lasciata intrappolare dal momento in cui, nei giorni di “Mani Pulite”, sciaguratamente rinunziò all’immunità parlamentare che aveva il dovere di conservare per farne buon uso a tutela della libertà del Parlamento. Torneremo sull’argomento.

Ma, intanto, dobbiamo prendere atto che non c’è un ministro della Giustizia (non voglio far ridere facendo il nome di Alfonso Bonafede!) che sappia dare al Paese il segnale della capacità di un intervento straordinario per assicurare, intanto, la continuità, la regolarità della funzione del Csm e, poi, una riforma sostanziale delle istituzioni giudiziarie.

Un’ultima considerazione; non si dica che quanto avvenuto col “caso Palamara” ha sorpreso Capo dello Stato, Ministri, Parlamento. Lo abbiamo già scritto nei giorni scorsi. Il marcio emerge oggi. Ma forse oggi si aggiunge solo la coscienza della corruzione con il denaro. Ma da quando il Csm è divenuto un mercato, una borsa valori delle varie “correnti” di magistrati che si affannano a creare i presupposti per un loro “uso alternativo della giustizia”, di marca conforme al modello della loro corrente, c’era una sostanziale corruzione delle istituzioni e delle funzioni giudiziarie cui mancava solo, o così sembrava, l’uso del denaro.

Il male della giustizia ha origini lontane.”

Il Presidente

Associazione Legalità Democratica

Avv. Maximiliano Granata