Nella città di Cosenza sono operanti i professionisti della calunnia .

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Le considerazioni di Mauro Mellini sono condivisibili: nella città di Cosenza sono operanti i professionisti della calunnia .

Le considerazioni dell’On. Avv. Mauro Mellini, in merito al suo ultimo articolo,”non si cava il sangue dalle rape e…….”, sono condivisibili, da esse si spiega che in una città come Cosenza, sono operanti professionisti della calunnia, quali ne siano i conniventi ed i mandanti .

Il Presidente
Associazione Legalità Democratica
Avv. Maximiliano Granata

24.08.2018

Non si cava il sangue dalle rape e ……

Mauro Mellini

Non si cava il sangue dalle rape e ……

Non si cava il sangue dalle rape. Ma qualche volta esse stillano veleno.

In nome dell’antipolitica i cinquestelle hanno conquistato ruoli politici e di potere.

Ma anziché tentare di creare una politica nuova, di cui sempre parlano, alla prova dei fatti essi  hanno sfoderato ridicole pretese, tali che sembra rappresentino le ragioni di quelli del bar dello sport ,dove tutti sono commissari tecnici della Nazionale e sfoderano la loro brava ricetta per vincere facilmente tutte le partite e i campionati del mondo. E, quel che è peggio, dalle rape stilla abbondante il veleno.

Ciò, piu’ che nelle questioni di governo del paese può notarsi  nella quotidianità delle amministrazioni locali, in cui il pettegolezzo si sostituisce alle ragioni e ai ragionamenti e gli epigoni del “Vaffa” di Grillo, sempre più si accostano ai professionisti di maneggi, assecondandone e facendone proprie le diffamazioni sistematiche e le calunnie, che hanno tutte il sapore di essere lanciate su commissione di assai interessati mandanti. E ciò è sotto gli occhi di tutti.

C’è una tendenza, dunque, dell’antipolitica a trasformarsi in malapolitica, tale nei metodi, purtroppo, nei moventi, che sta rilevandosi in modo addirittura grottesco .

Cosi i cinquestelluti non solo si considerano i soli depositari della illibatezza e della  capacità di risolvere ogni problema, ma pretendono di applicare agli altri il principio della presunzione, anziché dell’innocenza, di colpevolezza e, magari, di colpevolezze fantasiose. Trovando una sponda per tali loro farneticazioni in chi di tale assurdo principio ha fatto un comodo sostitutivo delle fatiche della propria professione, oppure di chi ha trovato,  sguazzandoci dentro, il modo di campare aggredendo nei modi  e per i motivi più assurdi quanti costituiscono un ostacolo ai poco chiari o addirittura chiarissimi disonesti affari dei loro mandanti o clienti.

Dall’antipolitica, dunque, ad una grottesca e contorta malapolitica, con una evoluzione, in talune città, la cui rapidità è assai allarmante ed, al contempo, tale da rendere il fenomeno assai facilmente rilevabile.

Non vi sono, di fronte a tali constatazioni da opporre questioni di alleanze, di prudenza per non ledere legami, magari “grottescamente” contrattuali  per non alterare equilibri e schieramenti.

Se è concepibile stare con le rape e dalle parte delle rape, è sempre inammissibile e sconcio l’autolesionismo del rassegnarsi a gustarne il veleno che, a quanto pare, esse non sanno far altro che distillare. Ed è delittuoso tollerare che lo diffondano propinandolo a tutti i cittadini .

Mauro Mellini

 22.08.2018

Magistrati: dall’estremismo al terrorismo

Mauro Mellini

Magistrati: dall’estremismo al terrorismo

dell’On. Avv. Mauro Mellini , già componente del Consiglio Superiore della Magistratura

Dobbiamo prendere atto della nascita di un’ altra frazione, del Partito dei magistrati e di un altro tipo di “uso alternativo della giustizia” nel variegato mondo della magistratura italiana.

Non so se si possa considerare magari, una frazione della frazione estremista.

Questa nuova tendenza o frazione della magistratura sembra, si proponga un unico obiettivo: quello di terrorizzare chiunque eserciti una pubblica funzione: Sindaci, assessori, deputati, amministratori comunali e regionali e di enti vari, funzionari di ogni livello e ciò arrestandone alcuni non per “incoraggiare tutti gli altri” come dicevano i generali francesi(e non solo) che ordinavano le fucilazioni per decimazione, ma per intimidire, rendere malleabili incapaci di ogni resistenza alle intromissioni ed ai voleri e metodi della “casta togata” , l’intera classe politica.

Potrà sembrare questa una fantasiosa esagerazione.

Ma analizziamo gli eventi quotidiani, quanto avviene in certe località. Non basta certo il più esagerato ottimismo per evitare di giungere a quella conclusione.

Sindaci arrestati a “ grappolo “ per imputazioni evanescenti, riconosciute immediatamente infondate in sede di Riesame. Distorsioni di qualsiasi situazione per ricavarne inconcepibili “abuso d’ufficio” .

Non si tratta di errori giudiziari e neppure di tentativi di imbastire annose persecuzioni. “Fare assaggiare “ il carcere ai politici in quanto tali, tanto piu’ se onesti e diligenti, per creare sgomento in tutta la classe politica, cosi da renderla duttile e ubbidiente, colpire nel mucchio. Non si tratta più di perseguitare alcune persone o magari interi partiti, ma una intera categoria l’ossatura stessa della nazione. E’ questo tipico terrorismo

Il fatto in sè è di una gravità enorme, ma ancora più grave è, a nostro avviso, che a degli autentici terroristi, ancorchè  togati, si voglia riconoscere la garanzia dell’indipendenza e della pratica incensurabilità e irresponsabilità che sono è debbono essere, semmai,  prerogative dei magistrati degni di questa altissima funzione. Né si dica che le scarcerazioni a seguito di Riesame, di questi amministratori arrestati per decimazione siano la prova che la giustizia funziona.

Applicare ed invocare il principio dell’indipendenza e della incensurabilità ad atti di autentico terrorismo giudiziario e’ una forma di complicità o, almeno, di connivenza che non fa che screditare l’intera magistratura e danneggiare persino quella sua deformazione in se allarmante, che è il sopravvenire di un partito dei magistrati.

Si aggiunga che “ volentieri si presa a chi molto possiede”. Non è da meravigliarsi se in ambienti e sedi giudiziari in cui si verificano certe enormità, vengano fuori e corrano velocemente tra il pubblico voci di complotti addirittura preventivi per dissuadere potenziali candidati in elezioni ancora lontane, che abbiano buone prospettive di successo. Qualcosa come azzoppare nelle scuderie i cavalli all’ippodromo prima di procedere alle scommesse sull’esito della corsa.

Liberarci di tutto ciò, volere denunciate e represse certe nefandezze, neutralizzati e sanzionati certi malfattori è necessità vitale per l’intero Paese e non solo per le località dove si abbiano a lamentare cose del genere.

Non stare a guardare, non tollerare l’intollerabile. Questo deve essere l’impegno di tutti i cittadini onesti e l’unico modo per sfuggire alla morsa delle intimidazioni e delle costrizioni.

Mauro Mellini

11.08.2018

Granata(Legalità Democratica)-Inchiesta affare stadio Roma: parlare di “associazione a delinquere” è, a dir poco, erroneo e allarmante.

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Condivido pienamente le tesi sostenute dall’ Avv. Mauro Mellini, già componente del Consiglio Superiore della Magistratura .

” E veniamo al fatto del giorno. La brutta piega che sta prendendo per la sindachetta Virginia Raggi l’affare dello stadio della Roma. Vi sono  indubbiamente aspetti nuovi della questione che ancor più evidenziano la sciagurata pochezza della maggioranza capitolina e la sua inadeguatezza ad affrontare il caos stagionato e tenace dell’amministrazione della Capitale.  Ma, intanto, una cosa vorrei sottolineare. Il fatto, di una gravità che non sfugge a nessuno per la valutazione dell’essenza del Movimento di Casaleggio (quello che avrebbe “imposto alla poverina di nominare Luca Lanzalone…). Ma, ancora una volta, la chiave di un avvenimento che potrebbe avere conseguenze incalcolabili sulla situazione politica è nelle mani dei magistrati.

Non starò a ripetere la litania, tale finita per diventare per l’uso ipocrito e strumentale, che ne fanno quelli che meno ne avrebbero il diritto: “aspettiamo di vedere come realmente stanno le cose”. Una cosa mi pare certa. La magistratura ancora una volta è “andata giù” sembrando decisa a “gonfiare il caso”.

Non conosco gli atti (ovviamente) né sono nel pieno di una mia attività professionale e scientifica che mi autorizzi a dispensare lezioni di diritto anche in questo rigoglio di asinità, ma, ad esempio, la contestazione della “associazione a delinquere” alle persone coinvolte (e a quelle coinvolgibili) dell’affare dello stadio risponde più a una convinzione politica di fondo che a una chiara visione della norma penale. Proprio perché è relativa “all’affare stadio”. Non basta che sussista una pur vasta e ben intrecciata concorrenza di reati plurimi (di corruzione). Per aversi “associazione a delinquere” occorre che il vincolo associativo, l’“affectio societatis” siano relativi a una serie indeterminata di reati. Se questi sono tutti “strumentali” per un affare specifico con la Pubblica amministrazione, parlare di “associazione a delinquere” è, a dir poco, erroneo e allarmante.

Di tutta la vicenda e in particolare della posizione della Raggi, estranea ai reati, ma non agli aspetti squalificanti dell’imbroglio, il fatto più grave è proprio la giustificazione che la poveretta ha addotto: “Me lo hanno imposto”. È la logica della politica, della cattiva politica. Benedetto Croce scriveva che l’uomo politico “onesto” è quello che fa buona politica e buona amministrazione e governa bene. Non rifarò il discorso del “partito degli onesti”. Ma aggiungerò che la cultura “telematica”, la negazione della necessità delle professionalità della politica e della Pubblica amministrazione, mentre sono espressioni di cattiva (e ipocrita) politica, sono fornite di disonestà, di corruzione. Detto tutto questo non posso certamente farmi delle illusioni. Spero che gli altri possano vedere qualcosa di meglio. E sappiano farlo.

E intanto aggiungo alle considerazioni di Giuliano Ferrara e a quelle su quanto da lui sostenuto, dei giudizi sulle parti politiche per il loro essere e per il loro fare, che assai facilmente ci si trova di fronte a panorami non diversi e a dover emettere giudizi non diversi. In parola povere, anzi poverissime, ogni limone alla fine dà il succo che ha in sé oppure: non si cava il sangue dalle rape.”

Il Presidente

Associazione Legalità Democratica

Avv.  Maximiliano Granata

Sulla dichiarazione di Laura Ferrara, interviene Maximiliano Granata Legalità Democratica .

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Sulla dichiarazione di Laura Ferrara esponente del movimento cinquestelle, interviene Maximiliano Granata Legalità Democratica .

Successivamente alla dichiarazione di Laura Ferrara esponente del movimento Cinquestelle, sugli appalti spezzatino a Cosenza, mi preme fare alcune considerazioni sui  principi fondamentali delle garanzie costituzionali, della civiltà del processo penale, che non possono essere aggirati e calpestati .

Il Tribunale del Riesame con un provvedimento che rischia di avere un effetto boomerang sull’inchiesta, si è espresso annullando le misure interdittive a carico di Pecoraro, Bartucci e Amendola, ritenendo che gran parte dei capi d’imputazione che li riguardano non superino la soglia dei gravi indizi di colpevolezza . Un comune destino che dovrebbe accomunare i casi di abuso d’ufficio .

In merito alle dichiarazioni dell’Eurodeputato Laura Ferrara, dove addirittura individuerebbe responsabilità politiche, sugli appalti spezzatino a Cosenza, mi preme fare alcune considerazioni di carattere giuridico sui temi che l’associazione Legalità Democratica, sta portando avanti in tutta Italia con convegni aperti al confronto di avvocati ed esperti di diritto .

I principi fondamentali delle garanzie costituzionali, della civiltà del processo penale sono stati “aggirati” con una costante interpretazione riduttiva degli effetti: calpestati e sostituiti con il mito dell’efficacia. Efficacia di “lotta”, capacità di danneggiare il “ nemico “, anche a costo di non risparmiare gli innocenti e i loro diritti .

Al principio di “legalità” che implica che nessun fatto sia punibile se non in forza di una legge preesistente che chiaramente la definisca come reato, che cioè contiene in sé il principio della chiarezza, è puntualmente violato con la creazione di fattispecie “aperte”, “apparenti”, grossolanamente ed inconcludentemente abborracciate. Ciò implica ed impone di per sé l’arbitrarietà del magistero penale.

 Al principio di legalità si sostituisce quello di “prevenzione” :  meglio intervenire prima che il reato sia commesso . Contro chi? Contro chi è capace di commetterlo. Come si valuta tale capacità ? Con l’indizio, l’indizio è “sufficiente”, che non significa niente, che prevale sulla prova. Ed in via “cautelare” si “punisce” l’indizio e, per quel che riguarda le misure dichiaratamente di prevenzione, subito si colpisce l’indizio dell’indizio.

Come abbiamo la cucina “ alla romana”, “ alla siciliana”, “alla genovese”, “ alla napoletana”, abbiamo sedi giudiziarie in cui i magistrati hanno un “modus operandi in cui la custodia cautelare è più clamorosamente incauta, cosi come nella cucina calabrese abbonda l’uso del peperoncino ( che, almeno, non puo’ dirsi abuso) .

Non c’è bisogno di andar lontano. A Cosenza, che sta salendo nella graduatoria delle città in cui più fiero imperversa  l’uso alternativo della giustizia, la giustizia è cucinata in una salsa in cui primeggia la contestazione dell’abuso d’ufficio, reato con una fattispecie di delicata struttura, ma che certamente non comporta la criminalizzazione di ogni violazione di legge nell’attività amministrativa. Ed invece, in questa eversione del sistema costituzionale attraverso le forzature di quello penale, anche qui si pretende che ogni violazione di norme procedurali da parte di pubblici funzionari, sia “abuso”. Il che è una solenne e pericolosa sciocchezza. Abuso si ha solo quando l’atto, oltre che violatore di leggi e regolamenti, abbia finalità in sé illecite completamente estranee a quelle della pubblica amministrazione.

E cosi, l’aggravante della “ finalità patrimoniale” non va confuso con un qualsiasi effetto incidente in qualche modo su situazioni patrimoniali.

C’è poi la scoperta di misure cautelari altrove inconsuete o assai meno applicate. A Cosenza è venuta di moda l’interdizione cautelare dalle pubbliche funzioni, concepita ( e graduata) con una pena accessoria anticipata, senza alcuna, o con scarsa, connessione, con il reale contesto, e con le esigenze processuali .

Significativa ne è l’irrogazione “ facile” statisticamente assai piu’ frequente che altrove, ma anche per tempi piu’ lunghi .

Penso, e non riesco a riderci sopra, che qui ed ora a Cosenza frank Sinatra sarebbe “interdetto per anni uno” dalla professione di cantante e di attore .

Nel frattempo giunge a sollazzarmi un sonetto di Gioacchino Belli del 3 Dicembre 1832

Dal titolo certe condanne

Sai c’arispose lui? “Via, nun è ggnente:
Tratanto er fijjo tuo vadi in galerra,
Ch’è ssempre in tempo a uscí cquanno è innoscente„.

D’altronde Belli è Belli e facilmente se ne accettano le ragioni .

“In dubio pro reo “

Il Presidente

Associazione Legalità Democratica

Avv. Maximiliano Granata

16.05.2018

Corruzione a palazzo di giustizia .

On. Mauro Mellini

CORRUZIONE A PALAZZO DI GIUSTIZIA

Alla corruzione di chi eserciti un pubblico potere abbiamo tutti fatto assuefazione. Tutti ne parlano: giuristi e portinaie, giornalisti e tassinari, il Papa, i vescovi, gli anziani ed i giovani, gli attori d’avanspettacolo ed i filosofi, le prostitute ed i loro clienti, gli ignoranti e gli intellettuali, i politici e (soprattutto) gli antipolitici. Ne parlano come di qualcosa di scontato, di inevitabile. E, soprattutto, ne parlano corrotti e corruttori.
Tanto è data per scontata la corruzione, che probabilmente i più sospettati, e sono solo di corruzione, sono quelli (in verità assai pochi) che hanno fama di essere corrotti e corruttibili. Dei quali tutti aspettano un tonfo clamoroso, che faccia venir meno l’inquietudine del sospetto e consente un atto liberatorio: “vedete? Sono tutti uguali”.
Tutti uguali nella corruzione, però i politici un pochetto di più. E, adesso anche qualche politico che si copre dietro l’antipolitica.
Quanto a categorie non c’è scampo.
Cioè, lo scampo c’è: strillare più degli altri contro la corruzione, cosa che per una categoria non è facile. Così sono considerati corrotti e, peggio ancora corruttibili, politici ed amministratori, appaltanti ed appaltatori, vigili urbani e medici ospedalieri e non.
E, preti, monsignori e cardinali.
C’è però una categoria che, in verità sfugge a questo “acciaccapisto” del moralismo collettivo: la magistratura.
Dei magistrati non sempre si è detto bene. Oggi e nel passato. Ma si può dire che ad essi siano stati assai di più i peccati perdonati (o ignorati) che quelli in qualche modo contestati. Lo si vede anche in quella grande sceneggiata nazionale che fu “l’epurazione” dopo la caduta del fascismo.
Ma da quando il “dagli al corrotto” è divenuto, il “ça irà” dei nuovi tempi, magistrato e magistratura sono termini che si abbinano a corrotti e corruzione solo come un ossimoro. Non dico che la magistratura sia la speranza di quelli che gridano di più contro la corruzione, specie se in buona fede, ma almeno rappresenta il necessario presupposto del concretarsi della rabbia in un oggetto: le manette.
C’è tanta gente che potrebbe e, magari dovrebbe per personale esperienza, gridare contro i magistrati. Ma grida, invoca le manette e, con le manette attribuisce un valore simbolico e salvifico anche a chi ne dispone l’uso ed anche l’abuso: i magistrati.
Così un po’ dell’antico e conclamato merito che una volta si riconosceva ai placidi ed un po’ sonnolenti componenti dei Regi Uffici Giudiziari, ai Commendatori Presidenti del Regio Tribunale ed al Cav. Uff. Procuratore del Re è passato ai magistrati di oggi che di quelli lì si fanno beffa e dei quali ignorano regole e, magari scienza e coscienza.
Negli Uffici Giudiziari, in verità, qualche tallone d’Achille c’è sempre stato. Se, al più, si parlava di cazzate di questa o quella Sezione del Tribunale e della Corte, del Pretore o del Procuratore del Re, qualcosa di più e di molto peggio si diceva di quanto accadeva nella Sezione Fallimentare, ed in quella delle Esecuzioni immobiliari nei rapporti tra magistrati, curatori e periti. Per questo ottimi magistrati, amanti del quieto vivere, si tenevano alla larga da tali Uffici.
Guarda caso, oggi che l’onestà della magistratura è divenuta un dogma necessario a questa nostra democrazia dello sputtanamento (criticare è inutile o non si può; sputtanare, invece sì) la prima vistosa crepa, anche se la vistosità non sembra avere attratto abbastanza l’attenzione di chi di dovere, si è verificata in un ufficio in cui si esercitano poteri per più versi simili a quelli dei giudici fallimentari: le Sezioni di Prevenzione (antimafia) con il magna-magna, contestato alla Presidente di quella di Palermo, la Saguto. Ed al suo contorno di beneficiari, compartecipi, per non parlare della considerevole quota di “non vedenti” che spesso si muove dietro certi scenari.
Ma, di fronte ad un caso Saguto (e, soprattutto ai molti altri di cui assai meno noti, troppo poco, si è parlato e si parla) non è forse giunto il momento di domandarsi se veramente la magistratura, malgrado l’irrompente tendenza alla prevaricazione, le insipienze, l’ignoranza, l’insensibilità per le vite della gente, è veramente, almeno, indenne dalla tabe della corruzione?
“Non è solo Saguto” è il titolo di un opuscolo che, on line ho fatto circolare (in verità assai poco). Ma non è in quel senso, in quello, cioè, secondo cui c’è da preoccuparsi piuttosto del sistema della persecuzione del sospetto, di cui bisogna preoccuparsi.
“Non è solo Saguto” perché, anche a stare solo a casi “emersi” con qualche forma di interventi repressivi, “qualcos’altro”, non poco rilevante si è verificato e si verifica in Sicilia e un po’ dovunque in Italia. Non ne abbiamo fatto un inventario. Ma ne sappiamo quanto basta.
Contemporaneamente al “caso Saguto” è scoppiato in Sicilia, a Catania, il caso del cosiddetto “palazzo della legalità” relativo alla clamorosa illegalità di una colossale impresa edilizia oggetto di un’amministrazione di patrimoni e aziende sequestrate perché “in odore di mafia”, con il coinvolgimento di magistrati e del Fratello di un notissimo magistrato di Palermo.
In Sardegna è venuta fuori un assai brutta faccenda di acquisti di beni oggetti di esecuzioni immobiliari al Tribunale di Olbia da parte di magistrati ad essa addetti.
Ho fra le mani una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che conferma il provvedimento del C.S.M. (assai blando, se non ridicolo) a carico di una Magistrata di Pistoia, colpevole di illecite attribuzioni di curatela di beni a commercialisti amici (qualcosa che, contestate ad un Sindaco o ad un Amministratore di un Ente pubblico lo avrebbe portato dietro le sbarre).
Non sono, lo ripeto, un raccoglitore di queste notizie. E di molte di esse mi arriva (e mi resta) solo l‘eco.
Se tra ottomila Magistrati non sono tanto pochi quelli che non hanno nulla da invidiare a Sindaci e Presidenti di Enti, e non è espressione di una eccessiva tendenza a pensar male se si ipotizza che, a parte la diversa giurisprudenza nell’abuso d’Ufficio con finalità patrimoniali, un magistrato corrotto abbia minori probabilità di finire condannato di un Sindaco o di un deputato.
C’è poi, e non si tratta di “pensar male” qualche clamorosa disparità di trattamento. Riguardo lo “jus sputtanandi”, inapplicabile ai togati.
Negli uffici del quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari hanno fatto irruzione poliziotti e Guardia di Finanza a rovistare nei cassetti ed a sequestrare computer.
Il quotidiano aveva dato notizie “riservate” sulle magistrate implicate nelle vicende immobiliariste di Olbia.
Ed allora? Allora significa che aveva ragione quel mio ex compagno di Università, magistrato che, un po’ per celia ed un po’ per farsi capire diceva spesso: “Il potere è bello perché se ne può abusare”.
Cercare di rendere trasparente, meno complicato e pesante il potere. Questa è l’unica lotta alla corruzione che abbia senso.
E finiamola con le “Authority” di funzionari che si beccano “premi di produzione” da far incazzare piuttosto che “ridere”.
E finiamola, pure con leggi e leggine anche “regionali” (!!??!!) anticorruzione.
Secondo quella Siciliana (spero solo quella) pare che a far scudo alla onestà contro la corruzione debbano concorrere i portieri dei “palazzi del potere” dove hanno sede pubblici Uffici, tenuti a segnalare la frequenza sospettanda di “estranei”, come tali sospetti corruttori.
Una volta i portieri, dovevano riferire alla “Casa del fascio…”.
Certo, l’imbecillità è peggiore della corruzione.

Mauro Mellini
17.04.2018

MAURO MELLINI: MA COSENZA NON E’ IN SICILIA

La Sicilia, si sa, è Regione Autonoma “a Statuto Speciale”. Tra le sue “specialità” c’è quella di ripetere, rifare con altre parole le leggi dello Stato. Lo Stato ha una “legge anticorruzione”, che non è rappresentata dagli articoli del Codice Penale, ma da norme “in positivo”, quelle che dovrebbero garantire e difendere l’onestà di tutti quanti, con espedienti vari, a cominciare, naturalmente dall’istituzione di una apposita “autorità” con garanti, vice garanti, consulenti ordinari e speciali. Ma anche con trovate che, almeno garantiscono, se non altro, l’umorismo. La Regione Siciliana ha una legge anticorruzione “autonoma” in fatto di umorismo.

Quando anni fa fu approvata quella legge ricordo che, lì per lì, riuscì a farmi fare una bella risata. Uno o più articoli stabiliscono che i portieri dei Palazzi in cui sono siti uffici pubblici, debbono segnalare, non so se alla “Authority” apposita, ai Carabinieri, alla stampa o alle comari del quartiere “l’ingiustificata frequenza di persone non addette ai lavori” negli uffici siti nel Palazzo.

Ma alla risata subentrò l’allarme, il fastidio, la preoccupazione. Ricordavo e ricordo bene quando, sotto il regime fascista, i portieri erano tenuti a “riferire” alle “Autorità di Pubblica Sicurezza” i pettegolezzi del palazzo. C’era anche un “Capo fabbricato” non so però se solo ai fini di una ipotetica “difesa antiaerea”. Roba, insomma che sarebbe stato meglio dimenticare.

Non so se altre Regioni oltre la Sicilia e, magari qualche altra “a Statuto Speciale”, abbiano redatto la loro analoga brava legge anticorruzione. E se, di conseguenza, si debbano guardare con altrettanto timore reverenziale (cioè con diffidenza) i portieri dei palazzi della Campania, del Lazio, della Lombardia, della Sardegna. E della Calabria. Che non è, come è noto, “a Statuto Speciale”, ma è tuttavia terra nella quale molte cose speciali avvengono e si ipotizzano e non solo, come ritengono certi personaggi, la ‘ndrangheta ed altre schifezze, ma anche cose ottime, come la soppressata, la “’nduja” e vi si trovano ottime e care persone.

Così se in un palazzo, poniamo, di Cosenza un “estraneo” va e viene, nessun portinaio è tenuto a correre all’Anticorruzione a fare la sua brava relazione. Al più si spargeranno sussurri di corna e di altre più accettabili legami. Come, da che mondo è mondo, avviene in tutte le regioni “a pettegolezzo ordinario”. Tradizionalmente ad opera delle portiere. Ma, oggi, con ben altri strumenti di pubblicità.

Queste considerazioni, che qualcuno troverà un po’ bislacche e, magari, poco rispettose delle autonomie garantite alla Costituzione, mi venivano suggerite da fatti e consuetudini di cui pare si parli molto a Cosenza, senza che si possano definire pettegolezzi. Solo menti distorte, spiriti deviati e una buona dose di tempo da perdere possono infatti sottolineare la frequenza assidua di un personaggio in un Palazzo pubblico o privato che sia. Che c’è da ridere se, ad esempio, un signore occhialuto con aria un po’ svagata si reca tutti i giorni in un edificio in cui esistono antichi archivi, se, poi, magari si viene a sapere che è uno storico, un erudito che va a compulsare documenti più o meno antichi?

Non parliamo poi dei Palazzi di Giustizia, dove, a parte i magistrati e gli avvocati, tanta gente è costretta a recarsi fin troppo spesso ed inutilmente, senza che sia lecito e sensato lambiccarsi il cervello e cercare di lambiccare quello altrui sui motivi di tale frequenza. Questo perché a Cosenza, in Calabria, non c’è (spero che non ci sia) la legge siciliana anticorruzione che affida ai portieri la custodia oltre che dei beni materiali, anche della limpidezza dei rapporti tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni. Meno male. Perché altrimenti la frequenza assidua in giornate qualsiasi ed in occasioni speciali di un autorevole personaggio, impreziosito dal laticlavio, il sen. Nicola Morra nei locali del Palazzo di Giustizia, avrebbe dovuto essere oggetto di un circostanziato (si fa per dire) rapporto di uno o più portinai dei vari turni.

Che, poi, se la gente ed i giornali si ricorderanno di quella disposizione di autonoma legge (dove c’è) che sembra fatta per fornire argomento di una novella di Vitaliano Brancati redivivo, al marchio infamante di “inquisito”, “indagato”, “raggiunto” da un avviso di garanzia, si finirà per aggiungere quello di “segnalato dal portiere”. Con tanti guai e vessazioni cui siamo un po’ tutti alle prese, andarsi a preoccupare della ipotetica estensione alla Calabria e ad altre Regioni “normali” dell’elevazione ad “atto dovuto” del pettegolezzo dei portieri (con tutto rispetto della categoria) può sembrare eccessivamente pessimistico e, magari, un po’ pretestuoso.

Ma, proprio perché vittime tutti di tali ipotetiche vessazioni pettegolesche, crediamo di poter segnalare un’altra possibile vittima, padre coscritto come Nicola Morra (che si candida per reiterare la sua esperienza senatoriale). Ne approfittiamo per raccomandare a lui ed ai suoi sodali Cinquestelluti di guardarsi bene da facili entusiasmi per una ulteriore legge anticorruzione che, magari, affidi la custodia della nostra onestà al colpo d’occhio dei portieri. Legge che ho il sospetto (ognuno è preda dei suoi sospetti) si confaccia al pensiero del suo partito.

E, poiché siamo in periodo festivo, ricordiamoci di dare una buona mancia al portiere. Non si sa mai.

Mauro Mellini

P.S. A parte il ruolo dei portinai e l’istituzionalizzazione dei loro pettegolezzi e magari della rilevanza, in una giustizia del sospetto, dei relativi rapporti istituzionalizzati o no, non sarebbe del tutto fuor di luogo, almeno in attuazione del principio della “par condicio” preelettorale, quantizzare i tempi di permanenza dei candidati negli Uffici Giudiziari. “Par condicio visitatorem”. Che ve ne pare?

Legalità Democratica:Le frequentazioni del Sen. Nicola Morra nei palazzi di Giustizia .

Mauro Mellini

Movimento Legalità Democratica

La cultura del sospetto è l’anticamera del khomeinismo: Le frequentazioni del Sen Nicola Morra nei palazzi di Giustizia .

Continuano le frequentazioni assidue in giornate qualsiasi ed in occasioni speciali del Sen. Nicola Morra nei palazzi di Giustizia .

L’ultima uscita del Sen Nicola Morra sulla vicenda Asili Nido e sulle continue denunce a Mario Occhiuto fa ritornare alla memoria l’ultimo articolo di  Mauro Mellini, già componente del CSM, nel suo articolo del 5 Gennaio 2018 che sulle frequentazioni del sen. Nicola Morra  cosi scriveva “ Non parliamo poi dei Palazzi di Giustizia, dove, a parte i magistrati e gli avvocati, tanta gente è costretta a recarsi fin troppo spesso ed inutilmente, senza che sia lecito e sensato lambiccarsi il cervello e cercare di lambiccare quello altrui sui motivi di tale frequenza. Questo perché a Cosenza, in Calabria, non c’è (spero che non ci sia) la legge siciliana anticorruzione che affida ai portieri la custodia oltre che dei beni materiali, anche della limpidezza dei rapporti tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni. Meno male. Perché altrimenti la frequenza assidua in giornate qualsiasi ed in occasioni speciali di un autorevole personaggio, impreziosito dal laticlavio, il sen. Nicola Morra nei locali del Palazzo di Giustizia, avrebbe dovuto essere oggetto di un circostanziato (si fa per dire) rapporto di uno o più portinai dei vari turni. Ci sono secoli di civiltà giuridica che cozzano contro la convinzione di Davigo e contro una cultura che seppellisce l’approccio del Beccaria e i principi costituzionali ispirati a un rigoroso garantismo.  Non accetterò mai l’assunto per cui non esistono cittadini innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti. Perché questa è barbarie, non giustizia. «La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità: la cultura del sospetto è l’anticamera del khomeinismo», diceva Giovanni Falcone. Per me sono parole che andrebbero scolpite in ogni tribunale accanto all’espressione «La legge è uguale per tutti».

P.S. A parte il ruolo dei portinai e l’istituzionalizzazione dei loro pettegolezzi e magari della rilevanza, in una giustizia del sospetto, dei relativi rapporti istituzionalizzati o no, non sarebbe del tutto fuor di luogo, almeno in attuazione del principio della “par condicio” preelettorale e postelettorale, quantizzare i tempi di permanenza della classe politica negli Uffici Giudiziari. “Par condicio visitatorem”. Che ve ne pare?

Avv. Maximiliano Granata
Coordinatore Regionale
Movimento Legalità Democratica
18.03.2017

REAGIRE AL GOLPE GIUDIZIARIO: BERLUSCONI NON CI SENTE

Silvio Berlusconi

Si accumulano gli episodi, le occasioni capaci di far sentire anche ai sordi e di far vedere anche ai ciechi che, mentre stiamo cincischiando con i numeri e, soprattutto, con la fantasia perché i partiti (o sedicenti tali) diano prova di “senso della responsabilità” appoggiando un governo degli irresponsabili, come tali e perché tali eletti in Parlamento, la verità della situazione attuale è che l’ala “riformatrice” del golpismo giudiziario è quella che sta dando gli ultimi colpi alla Repubblica ed alle istituzioni democratiche.
La Corte dei Conti che impianta un giudizio di “responsabilità” nei confronti di Berlusconi per aver provocato (??!!??) la crisi “illegittima” del governo Prodi; il GIP di Roma che incrimina un avvocato perché ha fatto il suo dovere di difensore e rischia di far assolvere i clienti, sono solo i casi, in fondo i più grotteschi, di una quotidiana, inarrestata demolizione dei principi basilari dei liberi ordinamenti, questioni tra le tantissime alle quali non fa più caso nessuno, come ben poco si è fatto caso a quelle ora citate.
Si è dato più rilievo ad un ennesimo episodio di “squadrismo giudiziario” in danno di un fondo di beneficenza e soccorso (lo “squadrismo giudiziario”, intendiamoci, è cosa gravissima e inammissibile!) piuttosto che a queste manifestazioni di sfregio dei principi, questi tentativi di seppellire quel che resta delle norme di garanzia.
Il fatto più grave è che a non “accorgersi” (si fa per dire) di questo progressivo fenomeno di erosione e di disintegrazione dei principi di libertà sono proprio le vittime. Da parte di Berlusconi e di Forza Italia, l’unica reazione all’irruzione della Corte dei Conti nella “valutazione” della crisi del governo Prodi è stata quella della “ingiustizia” di averla fatta risalire al caso della pretesa violazione del vincolo di mandato e di procurato passaggio all’opposizione di De Gregorio, mentre i voti che mancavano a Prodi furono cinque o sei di altrettanti Parlamentari che lasciarono la maggioranza.
Così per il caso “dell’eccesso di difesa” dell’Avvocato Tagliaferri. E’ stata più netta la reazione di cittadini qualsiasi che non degli Avvocati.
Ieri la parola fine messa dalla Corte di Cassazione alle isterie giudiziarie in danno di Berlusconi per il “caso Ruby” hanno, su “Il Giornale” del Cavaliere provocato una reazione tutta personale. C’è un “caso Boccassini”. In un altro Paese la Boccassini sarebbe costretta a cambiar mestiere. Aggiungiamo che nel nostro Paese a cambiar mestiere dovrebbero essere non meno di un migliaio di magistrati tra asini, fanatici, assatanati, corrotti, ricercatori di pubblicità e di successo politico.
Ma l’esistenza di un “caso Boccassini” è conseguenziale e marginale. Il problema è il Partito dei Magistrati, quello fatto di personaggi come la Boccassini ma anche di altro genere e levatura. Ma che è il brodo di coltura, il seminario dello “squadrismo giudiziario”, il presupposto e la finalità di esso.
Trovate chi capisce la differenza.
Troviamoci assieme, esprimiamo pubblicamente il nostro consenso a queste chiare proposizioni ed avremo il partito della rivolta liberale.
Se no restate pure “moderatamente” brontoloni. E succubi.

Mauro Mellini
16.03.2018

MAURO MELLINI: ALLARME! LA CORTE DEI CONTI DISTRUGGE LA COSTITUZIONE

 

Mauro Mellini

E dire che c’è chi si preoccupa di salvare la Repubblica dai rigurgiti fascisti e reazionari con un po’ di carcere per chi fa il “saluto romano”!!
E’ in corso una esplicita, tipica e sostanziale operazione golpista, un formale, ma non solo formale golpe in piena regola contro la Repubblica Democratica e le sue istituzioni fondamentali, tale per ogni Paese che voglia considerarsi ed essere libero. Un golpe delle toghe e della loro invadenza ed asinità (una miscela venefica mortale). Non si tratta dei P.M. e dei giudici penali (che pure, come vedremo, hanno avuto la loro immancabile parte in questa vicenda). Sono i magistrati della Procura della Corte dei Conti.
Allarme! (Alle armi!!) c’è da lanciare il grido della rivolta, da chiamare la gente a fare le barricate attorno alla Corte dei Conti che “ha affidato alla Guardia di Finanza” una indagine sull’andamento dello spread a cavallo delle dimissioni di Romano Prodi nel maggio 2008, aumentato vorticosamente col Governo Berlusconi che ne fu il successore.
Secondo la Procura della Corte dei Conti quelle dimissioni erano “illegittime”, frutto di un atto delittuoso di Silvio Berlusconi, che quindi dovrebbe pagare i danni, perché la maggioranza di cui “godeva” Prodi era stata “alterata illegittimamente” con il passaggio del Senatore Sergio De Gregorio passato “illegittimamente all’opposizione” (!!!!) per le mene corruttrici di Forza Italia.
“Illecito” il passaggio all’opposizione di De Gregorio, illecita la crisi di governo e le dimissioni Prodi (non solo per il voto di De Gregorio!). Frutto e conseguenza di tale illecito l’aumento dello spread (caduta del valore dei titoli di Stato, se non erro).
Responsabilità per il “danno di immagine” della Repubblica Italiana e per il danno finanziario della caduta del valore dei titoli di Stato.
Mettete (cioè mettono, i magistrati della Corte dei Conti) assieme queste stronzate e ipotizzano che Berlusconi “ha da pagare”.
Sulle dimissioni del Senatore Di Gregorio i magistrati ordinari di Procura e Tribunale di Napoli avevano imbastito, in violazione esplicita degli articoli 67 e 68 primo comma della Costituzione, un processo per “corruzione” a carico del “transfuga” e del “compratore”, naturalmente Berlusconi. Poi esso è finito con una scontata pronunzia della prescrizione, la norma “bestia nera” dei magistrati italiani, che specie per certe materie e certi potenziali imputati, hanno una spiccata vocazione archeologica, alla quale sacrificano volentieri la loro preziosa attenzione per i più efferati e manifesti reati che non comportano invasioni sul campo della politica e della storia.
I magistrati della Corte dei Conti si sono impadroniti dell’immondizia del “caso” napoletano e ne hanno tratto la “logica” conseguenza. Quella che, semmai, avrebbe dovuto essere presente a P.M. e giudici di Napoli per rendersi conto che il divieto stabilito dagli art. 67 (divieto di “vincolo del mandato”) e 68 1° comma (incensurabilità penale e civile di quanto compiuto relativamente all’esercizio del mandato parlamentare) non è un “odioso privilegio” di deputati e senatori, ma è norma fondamentale di salvaguardia di tutto il sistema delle Democrazie e delle libere istituzioni. E si sono fatti giudici della vita e della caduta dei governi della Repubblica.
Lasciamo che i golpisti di Viale Mazzini portino avanti il loro disegno delittuoso (obiettivamente tale anche a voler concedere la mancanza di dolo per insuperabile ignoranza) e che “completino” l’operazione sostanzialmente golpista dei magistrati di Napoli e potremo dover prendere atto che l’art. 1 della Costituzione è stato manomesso e stravolto con la forza dell’abuso della giurisdizione e dell’ignoranza cui essa si ispira e che d’ora in poi dovrebbe suonare così:
“L’Italia è una Repubblica oligarchica fondata sull’abuso della funzione giudiziaria”.
“La sovranità appartiene formalmente al Popolo solo perché l’ignoranza e la supponenza di chiunque eserciti una funzione giurisdizionale possa farsene beffa”.
Allarme (alle armi, magari non letali, pomodori, uova marce, pernacchie).
Cittadini! A Viale Mazzini! Alle barricate della ragione e del buon senso!
Mauro Mellini

14.03.2018

P.S. Provo a leggere un articolo “in difesa” di Berlusconi e contro la Corte dei Conti.
Sono impressionato dalla incapacità di un giornalista come Gabriele Barberis e di un quotidiano come “Il Giornale” di dire una pura e semplice parola che ridicolizzi (o mandi a quel paese) la pretesa del potere giudiziario di stabilire quali sono i costi di governo giusti e quelli “illegittimi”.
E’ impressionante la serie di “moderate” cazzate per rispondere ad un colpo di Stato.

M.M.