Granata ( Legalità Democratica) : Grave la dichiarazione del Ministro Barbara Lezzi sul Sindaco della Città di Cosenza.

On. Avv. Mauro Mellini

Granata ( Legalità Democratica)  : Grave la dichiarazione del Ministro Barbara Lezzi sul Sindaco della Città di Cosenza.

Sono molto gravi le affermazioni di Un ministro della Repubblica Barbara Lezzi nei confronti del Sindaco della Città di Cosenza Mario Occhiuto “Stia certo il Sindaco plurindagato che i suoi insulti e deliri non mi fermeranno.”  Il Ministro sicuramente non è informato  che la maggior parte delle indagini a carico di Mario Occhiuto di cui una parte già archiviate, nascono dalle denunce del sen. Nicola Morra e promosse dal suo attuale consulente a tempo pieno nella commissione antimafia Dr.ssa Marisa Manzini, fino a pochi mesi fa in servizio presso la Procura Repubblica di Cosenza come procuratore aggiunto.

Consiglio al Ministro uno dei vari articoli di Mauro Mellini sul caso Nicola Morra , suo collega di partito e presidente della Commissione Antimafia  che di seguito riporto:

Il Presidente

Associazione

Legalità Democratica

Avv. Maximiliano Granata

Il noto Giurista ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura On. Avv. Mauro Mellini interviene sul Caso Nicola Morra :
IL CASO DELL’ “ON. DELATORE DELLA REPUBBLICA”
E’ scoppiato (si fa per dire: anche alle bombe la stampa sa applicare, in certi casi, la sordina) il caso nientemeno che di una nostra vecchia conoscenza, l’attuale Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il Senatore (ma, come vedremo, dovremmo dire l’”On. Delatore della Repubblica”) Nicola Morra del Collegio di Cosenza.
Avevamo già parecchio tempo fa segnalato la sconcezza di una perenne presenza del Prof. Morra nei locali della Procura della Repubblica di Cosenza ed in particolare negli Uffici di taluni Magistrati.
Che cosa avesse da fare, con tanta assiduità, noi che non abbiamo accesso alle intercettazioni lecite (accesso illecito) né avevamo sistemi illeciti di intercettazioni illecite, non potevamo certo dire. Ma molti elementi comprovavano già allora che tale presenza non era imposta da convocazioni, ma espressione di rapporti di particolare amicizia e collaborazione e, magari, di petulanza.

Leggevo la copia di una denunzia del suddetto Prof. Sen. Morra: “Il sottoscritto Nicola Morra, nella sua qualità di Senatore della Repubblica, espone alla Signora vostra, per l’ipotesi che i fatti in questione possono costituire reato etc. etc.”.
Nella qualità di Senatore! Ecco per lui la funzione del Senatore: “ti dico questi fatti e pensaci tu a tirarne fuori un buon sugo di incriminazioni e di sputtanamento”.
Sputtanamento che non è mai mancato in danno di persone denunziate dal Nostro On. Delatore della Repubblica.
Avrei voluto che l’esperienza ed il senso di responsabilità e di stile del Prof. Morra, una volta eletto Senatore, gli facesse abbandonare certi vizietti che tanto hanno a che vedere con la delazione. Ma il lupo cambia il pelo e quel che segue.
Senatore? no! Delatore della Repubblica.

Mauro Mellini

Mauro Mellini: Il caso DELL’ “ON. DELATORE DELLA REPUBBLICA” Nicola Morra

On. Avv.  Mauro Mellini

Il noto Giurista ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura On. Avv. Mauro Mellini interviene sul Caso Nicola Morra :
IL CASO DELL’ “ON. DELATORE DELLA REPUBBLICA”
E’ scoppiato (si fa per dire: anche alle bombe la stampa sa applicare, in certi casi, la sordina) il caso nientemeno che di una nostra vecchia conoscenza, l’attuale Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il Senatore (ma, come vedremo, dovremmo dire l’”On. Delatore della Repubblica”) Nicola Morra del Collegio di Cosenza.
Avevamo già parecchio tempo fa segnalato la sconcezza di una perenne presenza del Prof. Morra nei locali della Procura della Repubblica di Cosenza ed in particolare negli Uffici di taluni Magistrati.
Che cosa avesse da fare, con tanta assiduità, noi che non abbiamo accesso alle intercettazioni lecite (accesso illecito) né avevamo sistemi illeciti di intercettazioni illecite, non potevamo certo dire. Ma molti elementi comprovavano già allora che tale presenza non era imposta da convocazioni, ma espressione di rapporti di particolare amicizia e collaborazione e, magari, di petulanza.
Oggi leggiamo su varii giornali e ripetutamente che il suddetto Prof. Morra, eletto Senatore, si direbbe per meriti di contiguità, manco a dirlo, nel partito di Casaleggio S.r.l., detto Cinquestelle, a quello dei Magistrati, avrebbe costituito una sorta di rete di indagini su tutte le amministrazioni della Provincia, in particolare quelle non in mano dei Casaleggesi. La sua presidenza dell’Antimafia, quindi, si inquadrerebbe piuttosto nel suo mestiere di mendicante di colloqui con i magistrati della Procura piuttosto che con una sua approfondita ed oggettiva visione del fenomeno mafia. Che di rapporti da leccapiedi di magistrati, alla ricerca del piede giusto ha antica e, magari, non sparita tradizione.
Scrivevamo già allora, quando il Nostro non era ancora Senatore, che se anche in Calabria si dovesse applicare la legge anticorruzione della Regione Siciliana, allora ci si troverebbe di fronte ad un caso in cui sarebbe stata imposta l’applicazione della norma di essa che impone ai portieri degli stabili in cui hanno sede Pubblici Uffici di segnalare alle autorità, credo quelle di P.S. la frequenza inspiegabile di determinate persone negli Uffici siti nel palazzo (Norma ereditata, credo, dall’O.V.R.A.).
Portieri delatori, dunque, piaccia o non piaccia questa qualifica per una categoria di rispettabili lavoratori.
Ma altro che portieri-delatori! Abbiamo oggi i Senatori-Delatori, anzi, ad essere più chiari ed espliciti gli “On. Delatori della Repubblica”.
Leggevo la copia di una denunzia del suddetto Prof. Sen. Morra: “Il sottoscritto Nicola Morra, nella sua qualità di Senatore della Repubblica, espone alla Signora vostra, per l’ipotesi che i fatti in questione possono costituire reato etc. etc.”.
Nella qualità di Senatore! Ecco per lui la funzione del Senatore: “ti dico questi fatti e pensaci tu a tirarne fuori un buon sugo di incriminazioni e di sputtanamento”.
Sputtanamento che non è mai mancato in danno di persone denunziate dal Nostro On. Delatore della Repubblica.
Avrei voluto che l’esperienza ed il senso di responsabilità e di stile del Prof. Morra, una volta eletto Senatore, gli facesse abbandonare certi vizietti che tanto hanno a che vedere con la delazione. Ma il lupo cambia il pelo e quel che segue.
Senatore? no! Delatore della Repubblica.
Mauro Mellini
18.07.2019

NEL P.d.M. CHE SI SGRETOLA L’ALA DEMENZIALE DA’ SPETTACOLO di Mauro Mellini

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Il Partito dei Magistrati, quello che ormai da tempo, rinunziando a miraggi propriamente golpisti, si è arroccato in un’azione di quotidiana, abituale pressione intimidatoria sulla classe politica, è in crisi. Rischia persino di essere travolto dalla ventata anticorruzione che esso stesso ha alimentato e di cui ha fatto lo strumento più potente.

L’ala delle sceneggiate palermitane antimafia, delle imprese elettorali degli Ingroia, della piattaforma mediatica a suon di “cittadinanze onorarie”, ha perso smalto ed è passata in retrovia. Per mesi non avevamo più inteso parlare del suo primo attore, l’ineffabile “Cittadino di Cento Città”.

Oggi si torna a fare il suo nome.

Il pretesto non è nulla di eccezionale. Da tempo, da sempre, Di Matteo, si è valso dei clamori di terribili denunzie di occulte manovre contro la sua persona e contro ciò che egli pretende che essa rappresenti, quale strumento per spuntarla nelle (per lui frequenti) diatribe e controversie in cui incorre nella sua vita professionale.

Con la collezione delle “cittadinanze onorarie” era caduta anche la frequenza di tali episodi. Oggi, un normale provvedimento di governo dell’Ufficio di cui fa parte, la Direzione Nazionale Antimafia, con cui il Procuratore Generale lo ha spostato da un (in sé, oramai un po’ ridicolo) reparto di indagini sulle famose stragi degli anni 1991-1994, ha fatto esplodere quella che sembra la battaglia finale dei fuochi d’artificio dell’ala demenziale palermitana del Partito dei Magistrati (e dei loro tirapiedi).

Si è gridato e si grida ancora all’attentato alla carriera ed, implicitamente ed esplicitamente, alla vita del “più minacciato” (perché, condannato a morte dal fu Totò Riina). Condanna che secondo una banda di pennivendoli della sua corte dovrebbe costituire titolo per assecondarlo in ogni sua pretesa ed aspirazione. “Un passo falso quello del Procuratore Nazionale Antimafia De Raho, accecato dall’odio”. Si legge in un articolo di Lodato su “Antimafia 2000”.

L’articolo è pieno di frasi di grande efficacia comica (come quella di una fretta inspiegabile nel voler chiudere le indagini sulle stragi che, se non erro, durano da più di un quarto di secolo!).

Ma ci sono allusioni ai rapporti degli Italiani con il potere, che dato il momento, autorizzerebbero, anche chi ha sempre respinto le dietrologie di oscuri maneggi, a ritenere che essi siano legati alla più ampia questione delle sorti del Partito dei Magistrati. Ma il bello di tale articolo è la frase e la frase “Tremano i palazzi del Potere. Come non mai. Perché Antonino Di Matteo appare sempre più agli Italiani come il nuovo Giovanni Falcone”. Bum!!

Non dico a nessuno di andare a leggere quello sciagurato scritto. Ma mi pongo un interrogativo. Articoli simili (ve ne sono stati altri di non troppo inferiore effetto comico) su “Antimafia 2000”. Il valersi di tale periodico notoriamente diretto da un guru come il frontecrociato Bongiovanni, del battage pubblicitario di quel livello, per non parlare del non dimenticato vezzo della collezione delle “cittadinanze onorarie”, (a proposito non si sono compiuti un bel po’ di reati di abusi d’ufficio?) sono tutti fatti che anche se non compiuti direttamente da Di Matteo, sono stati e sono, nel loro complesso ed anche singolarmente, da lui accettati assumendone le responsabilità morali, disciplinari e professionali.

Se si deve parlare di rinnovamento della giustizia, di freni a certe esorbitanze etc. etc. non sarebbe il caso che qualcuno prendesse l’iniziativa di un solenne procedimento disciplinare contro un simile, teatrale personaggio di una poco commendevole commedia dell’arte?

E non sarebbe il caso di fare un po’ di conti per vedere, ad esempio, quanto è costata la ridicola, famelica collezione di “cittadinanze onorarie”?

Oppure Di Matteo è al di sopra di ogni regola disciplinare e di ogni responsabilità, anche patrimoniale, per le sceneggiate imbastite attorno alla sua persona?

Mauro Mellini

Contraccolpi nella Magistratura di Mauro Mellini

Contraccolpi nella Magistratura

Ho già avuto modo di scrivere che queste elezioni-terremoto, oltre a segnare una caduta che difficilmente potrà arrestarsi del grottesco “coso” 5 Stelle, e, di contro, la folgorante vittoria di Matteo Salvini e della Lega, hanno comportato anche la sconfitta, oltre che del Cattolicesimo populista di Papa Bergoglio (di cui bisognerà pure parlare), del Partito dei Magistrati.

Voci di una colossale “retata” di politici, che avrebbe dovuto precedere il voto del 26 maggio erano forse del tutto infondate. Ma è certo che se un proposito di intervento omogeno e “pianificato” c’è stato (e c’è) esso si è sgretolato ed è ridotto in frammenti confusi. E la reazione all’uso alternativo della giustizia, messo in atto con la “abituale” contestazione a destra e a manca di reati per lo più di abuso d’ufficio, immaginari in linea di fatto e stravaganti in linea di diritto, si è fatta sentire e non è detto che non sortisca effetti al di là dell’uso nella polemica elettorale.

Ma la cosa che più ha colpito l’opinione pubblica è stato l’apparire del fantasma (ci auguriamo che sia solo un fantasma) di contestazione di corruzione all’interno della stessa Magistratura.

Che in un Paese in cui la corruzione è tanto diffusa (anche se non quanto e con le modalità che sono affermate da quanti hanno interesse a tenere la classe politica sotto il giogo del discredito ed del timore di cadere nella rete giudiziaria) solo la Magistratura sia immune da questa tabe, è più che improbabile, impossibile.

Ma qui la cosa, in sé, grave e piena di conseguenze funeste, è da considerare ai fini delle valutazioni del potere che il Partito dei Magistrati, la pressione ed il timore da essi fatte gravare sulla classe politica ne dovranno pur fare.

Se veramente Salvini ha intenzione e possibilità di portare avanti la sua azione contro l’intimidazione giudiziaria che grava il Paese, questo è il momento in cui la gente comincia ad aprire gli occhi sulla reale sciagura di una Magistratura che più che della giustizia, sembra preoccupata dell’”uso alternativo” di essa.

Un “uso alternativo” che significa necessariamente ingiustizia, come, dopo decenni di teorizzazioni venefiche, ammantate di marxismo, comincia ad essere visibile e concreta.

Vedremo se alle parole seguiranno i fatti. Vedremo pure se la vocazione dei 5 Stelle di far la parte, di fatto, dei tirapiedi delle più becere Procure, si esaurirà o se certe perversità siano invece entrate nel Dna della politica e della vita sociale. Vedremo. E non ci sarà molto da attendere.

Mauro Mellini

Mauro Mellini interviene sul caso Morra

Mauro Mellini

Nicola Morra

Autorevole intervento di Mauro Mellini
Sono informato che in Calabria, terra di esperimenti di ogni devianza giudiziaria, si sono formati “gruppi di lavoro” che fanno capo all’impegno paragiudiziario del Prof. Morra, del Movimento 5 Stelle di Cosenza divenuto poi Senatore e Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, del quale a suo tempo avevo a segnalare una parossistica presenza in Uffici ed anticamere del Palazzo di Giustizia.

CALABRIA: UN PARTITO DI DELATORI
AL SERVIZIO DEL P.d.M. (O VICEVERSA)

L’episodio dell’intervista non mandata in onda sul Presidente Giovanni Leone e sulla falsa attribuzione al Partito Radicale dell’operazione con la quale lo si costrinse alle dimissioni (e la grottesca e falsa scena di Pannella al riguardo), mi ha dato modo di riflettere sulla colpevole nostra leggerezza con la quale assistemmo a tutta la vicenda, dimenticando il profetico ammonimento che Leone fece a tutti noi nel discorso con il quale annunziò le sue dimissioni, esprimendo la preoccupazione che quanto messo in atto (non casualmente) contro di lui divenisse metodo usuale della lotta politica.
Lo è divenuto ed ha superato sicuramente ogni più pessimistico presagio di quello che è stato, ed è ora di affermarlo con forza, il migliore Presidente della Repubblica e, al contempo, il “protomartire” di un non ancora neppure teorizzato “uso alternativo della giustizia” e del suo connesso “jus sputtanandi”.
Non poteva pensare Giovanni Leone che si sarebbe arrivati non solo alla “normalità” dell’“uso alternativo della giustizia” ed all’uso ulteriore delle campagne mediatiche a scopo politico ma anche alla potenza di essi tra tutti i mezzi di confronto e di lotta dei liquami di tali sistemi teorizzati dalla Sinistra ed alla priorità che essi hanno nella lotta e negli equilibri (si fa per dire) del nostro Paese.
Sono informato che in Calabria, terra di esperimenti di ogni devianza giudiziaria, si sono formati “gruppi di lavoro” che fanno capo all’impegno paragiudiziario del Prof. Morra, del Movimento 5 Stelle di Cosenza divenuto poi Senatore e Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, del quale a suo tempo avevo a segnalare una parossistica presenza in Uffici ed anticamere del Palazzo di Giustizia.
Pare dunque, che tali “gruppi di lavoro”, che potrebbero chiamarsi “gruppi di delazione organizzata”, si siano creati tra gli “Amici del Bar dello Sport”, base del Movimento 5 Stelle di Cosenza, che “conducono istruttorie popolari” di presunti, presumibili e non presumibili reati contro la Pubblica Amministrazione, che, poi, esibiscono, magari con quel tanto di “autorevolezza” (!!!???) che loro deriva dal fatto di essere del partito del Presidente dell’Antimafia, negli Uffici della Guardia di Finanza o di altri Organi di Polizia Giudiziaria.
Non voglio attardarmi a parlare del di più ed a selezionare la portata di tali voci (ci sono voci vere e false e voci sull’origine delle voci etc. etc.). Ma il solo fatto che in una Città che ha, oltre tutto, tradizioni di cultura e di sensibilità democratiche e che ha espresso Uomini della levatura di Giacomo Mancini, si possa concepire un modo simile di fare politica, è cosa agghiacciante.
Se poi si considera che la parte politica che si organizza per questa attività che più chiaramente può definirsi delazione organizzata, è sostenitrice della tesi che il cosiddetto “avviso di garanzia” “garantisce” a chi ne è causa di costringere alle dimissioni uomini politici e funzionari, abbiamo un quadro di una democrazia telematico-delatoria tale da rovinare il tessuto stesso della società e dello Stato non solo a Cosenza.
Se c’è chi pensa che dedicarsi a certe congreghe di “investigatori” poco dilettevoli sia qualcosa di meglio della tradizionale delazione (di “corvi” e figuri “al soldo” delle Questure), il fatto è ancora più grave.
L’imbecillità è il collante di ogni forma di malvivenza.
C’è chi avrebbe il dovere di reagire a fatti e situazioni con fermezza e senza mezzi termini.
Se non lo si fa, direi che è questo l’aspetto più preoccupante di un sistema indecoroso ed insopportabile che non ha a che fare con la democrazia.

Mauro Mellini

Mauro Mellini denuncia potere dei pm e inerzia dei politici

Mauro Mellini e Maximiliano Granata

È il caso di Mauro Mellini, già deputato radicale e membro del Csm, che ha fatto il giro delle sette chiese in cerca di un editore per Il partito dei magistrati, trovando asilo solo presso il coraggioso ma minuscolo Bonfirraro. Ed è un peccato, perché libri come il suo sono proprio ciò che manca al dibattito (truccato) sulla giustizia: da anni assistiamo a una sfida da feuilleton tra un imprendibile Fantômas e un tenace commissario Juve, e il duello ruba la scena alle questioni serie, che riguardano, prima di tutto, l’equilibrio tra i poteri. O meglio, lo squilibrio.
Il libro di Mellini, tra il saggio storico, il pamphlet e il memoriale, rileva il paradosso di «una funzione dello Stato che si erge a partito e che come partito opera e si muove nella vita politica e sociale». Il suo bersaglio è la «giustizia deviata», uscita dal recinto delle sue funzioni e dedita al pascolo abusivo in terreni che non le spettano. Lo sconfinamento parte già nel dopoguerra e trova i primi appigli nell’ambiguo compromesso costituzionale. È teorizzato poi nel periodico di Magistratura democratica, che Mellini è andato a rileggersi: grattando la crosta del gergo contestatario, ecco emergere temi come l’indipendenza assoluta della magistratura e il suo diritto a mutare i rapporti sociali a colpi di sentenze. Ma il punto di svolta è la gestione delle due grandi emergenze, mafia e terrorismo. È allora che la giustizia si ammanta di metafore militaresche: i magistrati sono «in trincea», ogni procura è un «avamposto dello Stato». Il potere della corporazione si estende, la cultura delle garanzie retrocede. E già che in Italia, secondo l’adagio di Flaiano, nulla è più definitivo del provvisorio, l’emergenzialismo sopravvive all’emergenza.

Dalle pagine di Mellini, che intrecciano con piglio quasi romanzesco questioni tecnico-giuridiche — la composizione del Csm, i tranelli del nuovo codice, i magistrati fuori ruolo — e grandi storie nazionali come il caso Montesi e il caso Tortora, prove generali del circo mediatico-giudiziario e dei suoi usi politici, si ricava una lezione desolante: l’esondazione, più che all’attivismo della corporazione o al protagonismo delle sue avanguardie, si deve all’ignavia della politica e ai suoi calcoli di tornaconto. Un esempio è la legge Breganze, che sancì nel 1966 la «carriera automatica» dei magistrati, senza criteri di merito. Quando la norma era in discussione, racconta Mellini, perfino Andreotti sollevò qualche riserva, ma gli fu raccomandato di tenerla per sé, perché altrimenti «ci arrestano tutti gli amministratori democristiani». Altro esempio è il referendum per la responsabilità civile dei magistrati, indetto sull’onda del caso Tortora. Il ceto politico non volle andare fino in fondo e tradì l’esito referendario: restò a mani vuote, ma ottenne comunque di inimicarsi i giudici, che vissero la campagna come un affronto. Mani pulite era alle porte. Quando poi, in un demagogico cupio dissolvi, i parlamentari si spogliarono di quell’immunità di cui pure avevano abusato, la frittata era fatta, lo squilibrio sancito. E la classe politica della Seconda Repubblica, malgrado i fuochi d’artificio, si è guardata bene dall’affrontare il nodo, secondo l’abitudine nazionale al rinvio.
Mellini non si rassegna all’idea che le sue, per usare la formula einaudiana con cui i liberali fanno quasi un vanto della loro irrilevanza, siano «prediche inutili». Però lo teme, tanto che la sua dedica è «a tutti coloro che non leggeranno questo libro, con l’augurio che non abbiano ragione per pentirsi di non averlo letto». A riprova che il garantismo è pensiero non già egemone, ma solitario e clandestino.

MAGISTRATI SCATENATI: ORA TUTTI NE VEDONO IL “PARTITO” di Mauro Mellini

Mauro Mellini

MAGISTRATI SCATENATI:
ORA TUTTI NE VEDONO IL “PARTITO”

L’avvicinarsi del voto di domenica 26 maggio ha messo il pepe sulla coda di Procuratori e Procure impegnati nella “lotta alla politica”.
Perché oramai quale che sia il fondamento delle accuse rivolte ad amministratori e “politici”, l’ondata e l’apparente “direzione” delle incriminazioni, la scelta del tempo e tutta la solita strumentazione e “collaborazione” con la stampa, denunciano l’impegno delle Toghe a colpire per “ulteriori finalità”, secondo una visione di parte e, di conseguenze secondo una strategia riconducibile a quell’”uso alternativo della giustizia” di cui tanto ciarlarono nelle loro teorizzazioni gli scalpitanti magistrati di Magistratura Democratica di alcuni decenni fa.
L’”alternativa” cui essi allora alludevano era la grande rivoluzione sociale secondo gli schemi marxisti, di cui, invece, le macerie, i liquami ci hanno dato il “nuovo” populismo becero oggi in auge.
Questi tardivi epigoni di un Partito dei Magistrati un po’ sgangherato (il fatto che esso per lo più operi in sintonia con i forcaioli imbecilli del Cinquestellismo locale basta ed avanza a confermarlo) si valgono di strumenti legislativi e di forzature giurisprudenziali che sono stati sciaguratamente elargiti per placare i loro bollori nel corso di decenni. C’è una ricchezza di ricorso al reato di abuso in atti d’ufficio che ne fa “l’abuso dell’abuso” ed ora vengono fuori le assurde novità (si fa per dire) della legge sul finanziamento dei partiti, per la quale mettere le mani al (proprio) portafoglio, per alimentare la propria corretta politica, è reato.
Tutto l’armamentario anticorruzione oggi nelle mani di questi magistrati “lottatori” a Cinque Stelle o giù di lì è frutto di una corrività tipicamente berlusconiana nell’”ammansire” i forcaioli nell’illusione di placarli.
La corruzione c’è ed è grave. E’ frutto oltre che di una caduta del senso dello Stato e dei doveri di onestà, della frantumazione del sistema partitocratico della Prima Repubblica, in cui la tangente era una sorta di “decima” pagata al sistema politico ricevuto da Yalta ed alla lotta al Comunismo. Sistema di corruzione che la complicazione inestricabile di leggi, leggine, colli di bottiglia, “pedaggi”, “posti di blocco”, per ogni attività imprenditoriale hanno fatto lievitare e reso usuale.
Tutta la “lotta” alla corruzione pare che abbia effetti controproducenti. Certo questi “effetti” sono, anziché nel senso di una diminuzione e repressione degli illeciti, già nella vita economico-sociale, un aumento del potere di cui l’abuso d’ufficio lo mette in atto chi lo compie “in nome del Popolo Italiano”.
Ma oramai il Partito dei Magistrati non sembra tendere più ad agire come un unico corpo in un’unica direzione. E’ piuttosto espressione dello scadimento in sé delle fobie e dei vagheggiamenti dei peggiori tra i magistrati stessi.
Li conosciamo. Li conoscete. Parliamone di più.
E vediamo di cacciarli. Non è impossibile.

Mauro Mellini

Granata Legalità Democratica: Nicola Morra si dimetta dalla Presidenza Antimafia

Nicola Morra

Caso Morra: Si dimetta dalla carica. Già Mauro Mellini, ex componente del CSM, nel mese di Gennaio 2018, aveva segnalato aveva segnalato la frequenza assidua del sen. Nicola Morra presso il Tribunale di Cosenza.

Inquietante e allarmante la conferenza dei deputati di Forza Italia. Già Mauro Mellini, ex componente del CSM, nel mese di Gennaio 2018, aveva segnalato la frequenza assidua del sen. Nicola Morra presso il Tribunale di Cosenza. Cosi scriveva Mellini “Non parliamo poi dei Palazzi di Giustizia, dove, a parte i magistrati e gli avvocati, tanta gente è costretta a recarsi fin troppo spesso ed inutilmente, senza che sia lecito e sensato lambiccarsi il cervello e cercare di lambiccare quello altrui sui motivi di tale frequenza. Questo perché a Cosenza, in Calabria, non c’è (spero che non ci sia) la legge siciliana anticorruzione che affida ai portieri la custodia oltre che dei beni materiali, anche della limpidezza dei rapporti tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni. Meno male. Perché altrimenti la frequenza assidua in giornate qualsiasi ed in occasioni speciali di un autorevole personaggio, impreziosito dal laticlavio, il sen. Nicola Morra nei locali del Palazzo di Giustizia, avrebbe dovuto essere oggetto di un circostanziato (si fa per dire) rapporto di uno o più portinai dei vari turni” . Il sen. Nicola Morra si dimetta dalla carica di Presidente della carica di Presidente della Commissione parlamentare Antimafia .

LA LEZIONE DEL PAPA E DEL RE DI NAPOLI di Mauro Mellini

Mauro Mellini

LA LEZIONE DEL PAPA E DEL RE DI NAPOLI

Qualche volta, di fronte al dilagare, oltre tutto pubblicizzato e “gonfiato” (se possibile) dalla stampa, siamo portati a domandarci se la corruzione, la disonestà nella vita pubblica e negli affari pubblici siano qualcosa che è nel DNA Italiano.
Non siamo razzisti, ma crediamo nelle tracce della storia, della religione anche e soprattutto, sulla morale pubblica.
Non vi è dubbio che l’intrigo delle “raccomandazioni”, delle “influenze”, su cui si regge tanta parte della vita pubblica e sociale del nostro Paese, sia speculare ad un assai complesso sistema di intercessioni, benedizioni, salvataggi, propri della religione cattolica e della sua pratica soprattutto nel Meridione d’Italia. Pregare questo o quel Santo, perché è “del posto”, è uno che con i miracoli ci sa fare (taumaturgo) perché “interceda” presso Gesù, e presso tutte e tre le espressioni della Trinità. Promettere donativi a questa o quella cappella, impegnarsi a far pellegrinaggi, far dire Messe etc. sono tutte espressioni di una religione che non è facilmente definibile come “monoteista” e crea mentalità tale e quale a quella su cui si fondano clientele politiche, raccomandazioni, corruzioni.
Questo è vero ancora oggi. Ma assai di più era evidente prima dell’Unità. Dove più forte era la corruzione? Il primato pare se lo contendesse lo Stato del Papa, in cui dal parroco al Segretario di Stato “mangiavano” a quattro ganasce, ed il Regno di Napoli, in cui i vari Re Borbone ritenevano dover chiedere a funzionari, giudici, Ufficiali dell’Esercito e della Marina di “non rubare troppo” ed in modo non troppo vistoso.
Con un certo ottimismo e di carità di Patria e per l’immagine di quel mondo che ci hanno trasmesso Uomini come Benedetto Croce, un certo miglioramento vi fu con l’Unità. In periodo fascista, che i “gerarchi” rubassero era convinzione diffusa non solo tra gli antifascisti.
Con la Repubblica si può dire che mettere da parte un po’ di denaro pubblico per far la lotta di classe o per sbarrare la strada al Comunismo fu norma quasi codificata. Le tangenti furono trattate con le Ambasciate. Basti pensare a quella colossale per l’acquisto delle navi “Liberty”, con la quale si diede vita al Partito Socialdemocratico di Saragat.
Se è vero (ed è vero) che l’avvento politico della Prima Repubblica fu disegnato ben prima del 18 aprile 1948 e delle altre successive elezioni, con gli stessi accordi di Yalta, è vero pure che da Yalta nasce il “diritto” dei partiti di spartirsi con il potere le “usuali” tangenti.
Ricordo nella mia infanzia (e forse anche più tardi) di aver letto certe targhette metalliche sulle porte negli Uffici Postali, nei Comuni etc. etc. “L’Uomo Civile non sputa in terra e non bestemmia”.
Non credo che sarebbe il caso porre targhette simili nelle migliaia di uffici pubblici (cresciuti nel frattempo come funghi) (ve lo immaginate: “L’uomo per bene non dà mazzette e non compra i pubblici Amministratori”!!!). Ma se si cercasse di portare il dibattito, invece che su assurde misure di incarico delatorio ai portieri perché segnalino persone dalla figura e dall’andatura di sospetti corruttori, sulla morale e sulla necessità pubblica di non arrendersi alla “necessità” della corruzione, credo che non sarebbe poi cosa sbagliata.
Forse riderete. L’amore del denaro dei “buoni” affari non si vince con le prediche.
D’accordo. Ma io, quando mi è capitato di sentire qualche palazzinaro vantarsi di “avere in mano”, con un po’ di soldi, quelli del Comune etc. etc. non ho mai mancato di fare la “faccia un po’ schifata”. E la parte del fesso, direte. D’accordo. Ma se vale a creare almeno un minimo di disagio sociale per corrotti e corruttori, non è che far la parte del fesso qualche volta sia un troppo gran sacrificio.

Mauro Mellini

L’AVVISO (CHE NON C’E’ DI) GARANZIA (E LA CONDANNA DI CHI SI CHIEDE CHE HA FATTO)

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

L’AVVISO (CHE NON C’E’ DI) GARANZIA
(E LA CONDANNA DI CHI SI CHIEDE CHE HA FATTO)

Il caso del Sottosegretario Siri ci impone ancora una volta di riflettere su quel cumulo di ipocrisie e di falsità su cui si fonda nel nostro Paese la posizione dei cittadini di fronte alla giustizia ed alla legge e, soprattutto sulla perversione di ogni rapporto e di ogni equilibrio tra potere politico, potere giudiziario e potere mediatico.
“L’avviso di garanzia” variamente denominato e regolato negli anni, fu istituito, vigente ancora il Codice di procedura del 1930, con finalità, come si evince dalla denominazione che poi gli è stata data, di evitare che una persona potesse venire a sapere di essere stata oggetto di magari lunghe indagini giudiziarie e di subirne le conseguenze senza aver avuto neppure il sospetto di esserne stata oggetto.
Questa la scusante. In realtà, pur cambiato il Codice, affermata da tutte le parti la buona volontà di riconoscere e tutelare i diritti fondamentali del cittadino di fronte alle più pesanti esigenze di esercitare nei suoi confronti la giustizia, questo “avviso” o “comunicazione giudiziaria” non ha mai adempiuto all’esigenza di garantire chicchessia, o metterlo in condizioni di far meglio valere i suoi diritti, le sue ragioni e la “sua verità”.
Se “comunicazioni giudiziarie” o “avvisi di garanzia” hanno avuto ed hanno una reale funzione, essa è quella di proclamarne “l’apertura della caccia” nei confronti del cosiddetto (ipocritamente e sfacciatamente) garantito.
E’ un atto che pare, di fatto, non abbia altra funzione che quella di dare un minimo di concretezza (si fa per dire) alle “soffiate” più o meno flebili o potenti, “obiettive” (??) o maligne che dalle Procure e da quant’altri, avendo potere e funzione nelle indagini penali, sarebbero tenuti (nientemeno!!) al riserbo ed al segreto, dando al contempo ai giornali, giornaletti e giornaloni modo di riferire al pubblico qualcosa di più (facendolo quasi sempre diventare molto di più ancora) di un semplice “si dice”, anche quando “dirlo” non è né lecito né onesto.
La questione è divenuta di fondamentale importanza nei rapporti tra magistrati e politici, tra toghe e stampa.
Al “vantaggio”, che questo atto avrebbe dovuto e dovrebbe assicurare al soggetto cui è inviato, si sostituisce la condizione nascente da un vero e proprio “avviso di colpevolezza”.
Si dice di taluno (tanto più se è un “politico”) “raggiunto” (!!??) da un avviso di garanzia.
La condizione del libero cittadino (secondo il vigente “jus sputtanandi” cui questo incombente giudiziario è finalizzato) diventa una sorta di “status di precolpevolezza”, di mancanza di limpidezza della sua condotta, della sua coscienza, del suo modo di agire. “Indagato” è termine implicitamente spregiativo. Assurdamente più grave di “imputato”, che richiama una difesa, un difensore, un giudizio.
E’ un “quasi status” che, oltre tutto, sembra non finisca mai.
L’“imputato” può (se è fortunato) essere assolto.
L’“indagato”, sembra che lo rimandino “sine die”. E’ indagato? No? Beh…sarà un ex indagato.
Non c’è, del resto necessariamente un atto di “cessate indagini”. C’è il provvedimento di archiviazione. Che però, se l’avviso di garanzia è stato emesso nel corso ed in funzione di un’indagine complessa, può, di fatto mancare per quel singolo “indagato” benché non si arrivi ad una richiesta di rinvio a giudizio.
Quando poi l’oltranzismo nell’imbecillità di certi pseudo campioni dell’”onestà” politica impone, con grotteschi contratti o meno, di sanzionare lo “status” di indagato con la cacciata dalla funzione, dal seggio etc., si arriva all’assurdo per il quale può accadere che, accertato da parte del P.M. che non c’è un cavolo di prova o di indizio di colpevolezza dell’indagato, preferisca non chiudere la partita magari solo al fine di accettare, invece, se l’indagine abbia, per caso avuto origine da una denunzia addirittura calunniosa che esiga di procedere contro il calunniatore.
Allora può darsi che l’”indagato” (facciamo conto, che so, un Siri) sia cacciato dalle sue funzioni “non risultando” ancora riconosciuto estraneo ai fatti, mentre il procedimento va avanti solo per assicurargli giustizia contro i suoi calunniatori. Egli ne è oggetto delle peggiori conseguenze.
Qualcuno mi dirà che ciò non accadrà mai, è un indagato, non solo per un Di Maio e un Conte, non può che essere un condannato, un colpevole che “assolvere” non si usa più per chi è stato presentato al pubblico, tramite la stampa di Palazzo quale “indagato-colpevole”. Forse è vero…Ulteriori conseguenze di un’assurdità.
Detto questo è però assai più importante il fatto che con queste identificazioni balorde di concetti e questi “automatismi” cretini si cambiano i rapporti istituzionali tra i poteri dello Stato.
Sulla politica in genere, quella disonesta, ma, più ancora, su quella onesta (che c’è cari Amici del Bar dello Sport) pesa così un incombente potere di prevaricazione. Cui corrisponde un atteggiamento di paura, di timore reverenziale nei confronti dei più sconci esemplari di magistrati.
Bello, vero?
Mauro Mellini