Granata(Valle Crati):Mi rendo conto che disturbo i manovratori, io sono fatto cosi e ho il coraggio di combattere la malamministrazione nel settore ambientale.

Condivido il pensiero del Dott. Nicola Gratteri quando dichiara “In realtà Gratteri parla tanto ed è consapevole che quando punta il dito contro il malaffare, fa innervosire tante persone. «Non è che io non mi renda perfettamente conto che quando parlo disturbo il manovratore, capisco benissimo che mi sto tirando la zappa sui piedi ma sono fatto così mi piace dire quello che penso e raccontare le cose che altri purtroppo non possono raccontare, perché non hanno la forza, il coraggio, che è una cosa che non si vende al supermercato». E’ vero quello che dice Gratteri,‘Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare’, chiosa il Manzoni, mettendola sulle labbra di don Abbondio al capitolo XXV de I promessi sposi, quasi giustificando il curato, al termine del colloquio con il Cardinale Borromeo. Lo stesso vale per lo stile e il tatto: se uno non ce l’ha non se lo può di certo dare. Nelle mie lunghe conversazioni con il mio mentore l’On. Mauro Mellini , quando parlavamo della mia attività di amministratore pubblico, parlavamo della libertà dalla paura e sull’opportunità di formare i comitati ” Freedom from fear” . Mauro Mellini ricordava quando arrivò l’eco della proclamazione, durante la guerra, delle “libertà Atlantiche” per le quali battersi e vincere, fatta da Inglesi ed Americani, da Roosevelt e Churchill che si erano incontrati sul Potomac. C’era la quarta di esse: “Freedom from fear”. Libertà dalla paura. Per la quale, appunto, battersi e vincere. Io e Mauro non avevamo paura di parlare, in fondo Mauro per la sua storia era la roccia del garantismo nazionale. Io e Mauro non abbiamo mai avuto “El Miedo” la paura di parlare. Anche a me piace parlare, come piace farlo a Nicola Gratteri, per disturbare i manovratori, sono fatto anche io cosi e con grande coraggio stiamo denunciando quello che avviene nel settore ambientale, nell’ambito della gestione del Consorzio Valle Crati, di cui mi onoro essere presidente da 12 anni. Lo dichiara il Presidente del Consorzio Valle Crati Avv. Maximiliano Granata .

Calabria,Lotta all’inquinamento?No, APRIAMO L’IMPIANTO DI SAN SAGO A TORTORA.

In questi giorni ci simao imbattuti in un procedimento, udite, udite, niente meno che di una conferenza di servizi regionale decisoria, relativa alla riapertura di un impianto di smaltimento di rifiuti pericolosi come quelli speciali (liquidi e fangosi) di Tortora a San Sago, provenienti da industria tessile, chimica, meccanica, conciaria, macelli, lavanderie industriali, tintorie, stamperie, etc., nonché percolati da impianti di discarica. Procedimento degno di esser fatta oggetto dell’ironia è quello che sta producendo una sciagurata evoluzione (dunque anche in questo caso c’è poco da ridere) dell’istruzione dei procedimenti amministrativi del nostro povero Paese. Il caso che stiamo trattando è certamente importante perchè tratta Rifiuti provenienti da tutta Italia che metteranno a serio rischio ambientale in un territorio come quello della Valle del Noce, tra Calabria e Basilicata, considerato un vero paradiso terrestre. Una vicenda comica ma tragica per il territorio e non posso che chiudere il pezzo dell’articolo per come piaceva dirlo alla Mauro Mellini, in Calabria “Lotta all’inquinamento”? No, apriamo l’impianto San Sago a Tortora. Cosi vanno le cose in Calabria, cioè non vanno. La storia continua……………….

Le conversazioni estive di Giovanni Marletta e Mauro Mellini.

L’amico Mauro Mellini,Segretario del Partito Radicale dall’ottobre 1968 a tutto il 1969, deputato per 4 legislature dal 1976 al 1992, Mauro è stato l’unico giurista radicale a far parte, come membro “laico” eletto dal Parlamento, del Consiglio Superiore della Magistratura. In tutta la sua vita ha affrontato con coraggio, spesso come è capitato a molti di noi in condizione di solitudine, le sue battaglie per “una giustizia giusta”. Giovanni Antonino Marletta, un’altro percorso di vita e professionale, quella di alto magistrato, che inizia la sua carriera a Rossano nel 1960, come sostituto procuratore della repubblica.Nella sua lunga carriera di 50 anni di magistratura ha ricoperto l’incarico di Procuratore della Repubblica di Enna, Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta,Direttore del Massimario della commissione tributaria regionale siciliana, Procuratore Generale della Corte D’appello di Reggio Calabria e Procuratore Generale Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione. Due uomini diversi, ma dotati di una grandissima preparazione culturale e giuridica, cosa rara da trovare oggi in Italia.Ritornano nei miei pensieri le nostre piacevoli conversazioni estive, con Giovanni Marletta e Mauro Mellini, in quel di Calabaia in Belvedere Marittimo, dove ci si fermava a parlare dopo cena dei temi più disparati, compreso quello sulla giustizia. Anche se le opinioni erano diverse perchè dettate da due diverse visioni, era un confronto piacevole da ascoltare dettato da una grande esperienza e competenza. Un confronto visto da angolazioni diverse ma che mi arricchiva di nuovi elementi di riflessione, in cui si raccontavano episodi di vita vissuta, nei loro rispettivi ruoli. Nonostante Mauro Mellini abbracciò le più importanti battaglie sui diritti e sulle garanzie. A cominciare dalla difesa di Enzo Tortora, il conduttore vittima di un’odissea giudiziaria che ben presto lo portò alla morte. Nel 2006 Mellini fondò insieme ad Alessio Di Carlo il periodico on line Giustizia Giusta, dedicato ai temi della giustizia in chiave garantista. Mauro dopo l’incontro con Giovanni Marletta ne rimase meravigliato in senso positivo e iniziava a ricredersi sul quel partito dei magistrati a lungo tanto osteggiato.Anche Mauro considerava Giovanni Marletta, un giudice gentiluomo, un vero galantuomo della giustizia, d’altronde nella sua vita non è mai stato un uomo sopra le righe e grande cultore di arte, letteratura, poesia e pittura.Per questo quando parlavano, anche di questi argomenti, era un vero piacera ascoltarli. Si incontreranno di nuovo in paradiso e si scambieranno le poesie di Giovanni e le considerazioni sui sonetti di Gioachinno Belli di Mauro.Due grandi uomini, protagonisti del loro tempo e che hanno rappresentato da angolazoni diverse la storia del paese.Giovanni Falcone diceva che “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Le vostre idee per una giustizia giusta, continueranno a camminare sulle nostre gambe per creare una società migliore.

Rende,manifestazioni Antimafia:Ecco cosa diceva Mauro Mellini.

La manifestazione antimafia a Rende rievoca un articolo di Mauro Mellini:
“La solita processione antimafia a Soccavo, quartiere di Napoli che ha fama di essere oppresso dalla camorra. Ma al rito devozionalmente anticamorristico e antimafioso (non finirò mai di ringraziare Vitiello per quella sua definizione: «mafia devozionale») c’erano solo i politici, esponenti di partiti, quasi veri o solo presunti tali. Non più di una cinquantina di persone. Un corteo paragonabile ad una processione con la sola presenza del Clero e non dei fedeli.

Il commento della stampa perbenistico-antimafiosa, nonché dei promotori officianti il rito disertato dalla gente, è stato «ha vinto la paura!».

La solita processione antimafia a Soccavo, quartiere di Napoli che ha fama di essere oppresso dalla camorra. Ma al rito devozionalmente anticamorristico e antimafioso (non finirò mai di ringraziare Vitiello per quella sua definizione: «mafia devozionale») c’erano solo i politici, esponenti di partiti, quasi veri o solo presunti tali. Non più di una cinquantina di persone. Un corteo paragonabile ad una processione con la sola presenza del Clero e non dei fedeli.

Il commento della stampa perbenistico-antimafiosa, nonché dei promotori officianti il rito disertato dalla gente, è stato «ha vinto la paura!».

Macché paura! La gente ha le scatole piene di queste processioni, di questi inutili riti, oramai, grazie anche a quello che ora sta succedendo a Napoli, a Roma, a Palermo ed altrove, addirittura pagliacceschi. Paura, semmai, di essere ridicoli e di essere scambiati per quei malavitosi ipocriti che dell’antimafia hanno fatto una lucrosa professione che garantisce ottimi affari.

Affari di munnizza, di acque chiare (fino ad un certo punto e non in senso morale) e luride, di concessioni d’ogni genere ed, oggi, a quanto sembra, anche di amministrazioni dei beni mafiosi, tali perché appartenenti a malviventi senza la patente di «lottatori contro la mafia» sequestrati a tal fine.

C’è da andare a nascondersi per la vergogna, altro che ad esibirsi in pagliacciate «per la legalità». La gente è stufa. Paura ne ha, ma, oramai, non tanto quella della camorra, quanto quella di ciò che non c’è: lo Stato, la giustizia, il lavoro, un po’ di pudore di chi si dà alla politica, di chi profitta della lotta alla criminalità per rubare, opprimere, crearsi una posizione di dominio, di comando.”

Calabria:Il partito dei pubblici ministeri come gli ulema nello stato islamico.

Il mio amico e mentore Mauro Mellini mi ricordava di aver visto prendere piede nelle procure degli anni Settanta – soprattutto in quelle calabresi, con cui aveva più familiarità – una cultura per cui “noi siamo gli avamposti della legalità” e “lo stato ci ha abbandonato, è un traditore”. E così, «nel tempo, lentamente, gli atti di elaborazione concettuale della Magistratura sono passati nella magistratura corporativa e ora che la politica prova a tirare le briglie che ha lasciato a lungo sciolte, il cavallo della magistratura si imbizzarrisce. E reagisce, non ritenendosi più un pezzo dello stato, ma espressione ormai di un qualcosa che sta sopra al potere temporale, come gli ulema nello stato islamico. Sono un’aristocrazia dotata di un potere carismatico, che per definizione non è elettivo: si acquista col concorso di uditore giudiziario». Cosi vanno le cose in Calabria, cioè non vanno. NOI SIAMO GARANTISTI, NON SIAMO GIUSTIZIALISTI. In onore di Mauro, io e Mauro Mellini non abbiamo EL MIEDO …………la storia continua …………………….

Caro Mauro avevi ragione: Antimafia Demenziale .

Caro Mauro avevi ragione e le tue considerazioni erano corrette.Nello stesso momento due episodi segnano col suggello dell’evidenza di una demenzialità ossessiva e intollerante dell’Antimafia e del suo potenziale devastante per la giustizia, l’economia e la civiltà nel nostro Paese.

Mentre dopo ben nove anni di accanimento giudiziario veniva dichiarata l’insussistenza dell’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione addebitata a Ottaviano Del Turco, presidente della Regione Abruzzo, arrestato all’epoca con quella infamante accusa fondata sulla tipica presunzione di colpevolezza “antipolitica”, con conseguente scioglimento della amministrazione regionale, è stato approvato il “Codice antimafia”, che, tra le coglionerie per le quali viene sbandierato come necessario strumento di lotta alla criminalità mafiosa e alla corruzione, prevede che le misure di prevenzione con le quali possano essere puniti gli indiziati dei reati di mafia (o colpiti, con immediati effetti devastanti, gli indiziati di essere indiziati), prevede tale trattamento per gli indiziati, e, intanto, per gli indiziati di essere indiziati dei reati contro la Pubblica amministrazione (corruzione, concussione, ecc.) commessi però mediante associazione a delinquere (cioè con indizio di tale associazione).

L’evidenza della confusione di idee e della dilagante asinità implicita nel mettere sullo stesso piano un reato tipicamente associativo, che presuppone e si manifesta in una sorta di marchio personale, quasi razziale di chi ne è ritenuto colpevole e un reato tipicamente “istantaneo”, seppure “incastonato” in un contesto associativo, sono evidenti. Essi si aggiungono all’assurdità del sistema della “persecuzione indiziaria” di tutte le “misure di prevenzione”.

Se il Codice antimafia fosse stato già in vigore, nove anni fa il sig. dott. Procuratore della Repubblica avrebbe chiesto e ottenuto il sequestro dei beni (ammesso che ne abbia) di Ottaviano Del Turco per il fatto della contestazione di un’associazione finalizzata alla corruzione che ci sono voluti nove anni a dimostrare inesistente. Ma non è detta l’ultima parola, assolto perché il fatto non sussiste va bene. Ma Ottaviano Del Turco è stato assolto sì dall’associazione a delinquere che non esiste, ma non è stato assolto dall’indizio di tale appartenenza, che, in quanto indizio, non ha bisogno che l’associazione esista davvero e sia mai esistita.

Se questa non è demenza legislativa e non solo legislativa è bene che gli psichiatri vadano a fare un altro mestiere. L’Antimafia komeinista e mafiosa traballa e mostra le sue crepe. La gente non ne può più delle panzane retoriche e delle concrete malefatte di questi sciacalli dell’Antimafia. I magistrati non privi di ragionevolezza cominciano a prendere le distanze dai loro colleghi fanatici e somari. Ma la politica continua ad assecondare le peggiori tendenze devastanti di una “giustizia di lotta”. Lotta contro la legalità e la certezza del diritto. E vota il Codice antimafia con le sue bestialità.

Gettato in carcere per mesi. Le prove non c’erano, per questo lo tenevano in cella. Speravano che confessasse. ma non aveva niente da confessare. Le poche prove sbandierate dagli accusatori si rivelarono false. Alla fine le accuse caddero quasi tutte, la Cassazione le cancellò, la teoria del grande imbroglio si sbriciolò, e Del Turco, che era stato abbandonato da quasi tutti, soprattutto – come succede spesso – dal suo partito, e cioè dal Pd, finì condannato solo per il reato di induzione indebita. È stata una condanna ingiusta, fondata su un teorema, non sulle prove. Ora pende in Cassazione una richiesta di revisione del processo. Del Turco però non saprà mai se il nuovo processo ci sarà davvero e se finalmente potrà ottenere l’assoluzione. Perché la lunga vicenda giudiziaria lo ha logorato, ha annientato il suo fisico. Oggi è chiuso in casa, è malato di cancro, di parkinson e di alzheimer. Non ragiona più. Non riconosce nemmeno i suoi familiari. Ha pagato in modo terrificante una colpa che non ha commesso. È contro quest’uomo, cioè contro uno dei protagonisti della storia della repubblica e contro una persona malatissima, che si sono accaniti i senatori che hanno deciso di togliergli la pensione. Ci sarà una rivolta di politici, di intellettuali, di giornalisti, di persone normali, di fronte a questo atto di puro sadismo? Temo di no. È ora che chi ha un po’ di coraggio lo dimostri, che ci si scrolli di dosso questa assurda e soffocante nuova, ipocrita e perversa forma di intollerabile totalitarismo. Parliamo chiaro ai nostri rappresentati politici, ai partiti, ai parlamentari. È nostro dovere.

Avv. Maximiliano Granata (Legalità Democratica): Calabria Presadiretta, l’illusione del garantismo e l’ometto strambo di Mauro Mellini.

Avv. Maximiliano Granata e l’On. Mauro Mellini

Dopo le dichiarazioni di Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, che è il primo a puntare il dito contro Iacona, sulla trasmissione Presadiretta, «È stato usato a piacimento il materiale investigativo, i filmati, le intercettazioni, senza contraddittorio, in relazione a un processo penale che non è ancora nemmeno cominciato e a un’indagine nella quale sono state già annullate 140 delle 300 misure cautelari irrogate. È una vergogna, è uno scandalo ed è la cifra del giornalismo italiano». Mi preme fare alcune considerazioni.

Il mio amico è mentore Mauro Mellini, me l’ha raccontava spesso nei nostri periodi estivi trascorsi insieme, di fronte i bellissimi tramonti estivi della costa calabrese, nella località di Belvedere Marittimo. La storia di un ometto strambo, impazzito e ridotto in miseria dopo che il patrimonio della moglie, una ricca ereditiera tedesca, era stato confiscato dal governo del kaiser durante la Grande guerra.

Mauro lo conobbe negli anni Cinquanta: “Era un avvocato, ma si era ridotto a vivere come un barbone, dormendo nei vagoni letto alla stazione Termini. Durante l’occupazione nazista, conoscendo benissimo il tedesco, si presentò a fare il difensore davanti al Tribunale di guerra installato all’Hotel Flora in via Veneto. Qualcuno raccontava che avesse fatto delle dotte arringhe per chiedere che i suoi (si fa per dire) difesi fossero fucilati nel petto anziché nella schiena. Tanto i ‘clienti’ il tedesco non lo capivano”.

Ecco, mi disse Mauro, questa è la storia da tenere a mente tutte le volte che si sente invocare, in condizioni come le nostre, più garantismo: “Voler porre la questione del garantismo davanti a tribunali obbedienti alla logica del partito dei magistrati equivale, più o meno, a prodigarsi in arringhe come quelle compitamente pronunziate dal poveretto”. Beccarsi una pallottola nel petto: se non proprio a questo, a poco più si riducono le aspirazioni di qualche benintenzionato. Di disarmare il plotone non se ne parla neppure più, anzi negli ultimi anni, con il giustizialismo dei pentastelluti, si sta facendo di tutto per rifornire il suo arsenale.

L’illusione del garantismo,l’illusione di poter negoziare qualcosa di meglio di una pallottola in petto, fa ritornare in mente  l’ometto strambo di Mellini. Lo dichiara il Presidente dell’Associazione Legalità Democratica Avv. Maximiliano Granata .

Avv. Mauro Mellini

Nicola Morra Delatore della Repubblica, ricordi di un articolo di Mauro Mellini. Io e Mauro non abbiamo El Miedo

Il mio grande amico e mentore Mauro Mellini non e’ piu’ tra di noi dal mese di Luglio dell’anno in corso. Quanti ricordi che si rievocano nella mia mente, sulle nostre discussioni tra Roma e Cosenza. Nelle nostre piacevoli conversazioni estive nel mare incantevole del tirreno cosentino, si ironizzava sulle vicende tragiche della giustizia in Calabria e avevamo individuato una parola spagnola, “El Miedo”, la paura degli amministratori calabresi di alzare la testa di fronte le ingiustizie compiute dal partito dei magistrati.  E’ in questo nostro ragionamento si parlava del noto caso dell'”On Delatore della Repubblica” e Mauro Mellini scrisse alcuni articoli su di lui . Lo incuriosiva molto la figura di questo personaggio politico cosi intento a frequentare il Tribunale di Cosenza e non solo. Oggi Nicola Morra si trova al centro di una rafica di attacchi politici per le sgradevoli dichiarazioni relative ad una grande donna politica calabrese e garantista, Jole Santelli,che oggi non è piu’ tra di noi. Già immagino Mauro Mellini che da lassù con l’ironia che lo contraddistingue tirare fuori dal cilindro un sonetto di Gioacchino Belli, per descrivere il senatore delatore. In onore di Mauro che da lassù mi vede, pubblico un suo articolo su questo modesto personaggio politico.

Il noto Giurista ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura On. Avv. Mauro Mellini interviene sul Caso Nicola Morra :
IL CASO DELL’ “ON. DELATORE DELLA REPUBBLICA”
E’ scoppiato (si fa per dire: anche alle bombe la stampa sa applicare, in certi casi, la sordina) il caso nientemeno che di una nostra vecchia conoscenza, l’attuale Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il Senatore (ma, come vedremo, dovremmo dire l’”On. Delatore della Repubblica”) Nicola Morra del Collegio di Cosenza.
Avevamo già parecchio tempo fa segnalato la sconcezza di una perenne presenza del Prof. Morra nei locali della Procura della Repubblica di Cosenza ed in particolare negli Uffici di taluni Magistrati.
Che cosa avesse da fare, con tanta assiduità, noi che non abbiamo accesso alle intercettazioni lecite (accesso illecito) né avevamo sistemi illeciti di intercettazioni illecite, non potevamo certo dire. Ma molti elementi comprovavano già allora che tale presenza non era imposta da convocazioni, ma espressione di rapporti di particolare amicizia e collaborazione e, magari, di petulanza.
Oggi leggiamo su varii giornali e ripetutamente che il suddetto Prof. Morra, eletto Senatore, si direbbe per meriti di contiguità, manco a dirlo, nel partito di Casaleggio S.r.l., detto Cinquestelle, a quello dei Magistrati, avrebbe costituito una sorta di rete di indagini su tutte le amministrazioni della Provincia, in particolare quelle non in mano dei Casaleggesi. La sua presidenza dell’Antimafia, quindi, si inquadrerebbe piuttosto nel suo mestiere di mendicante di colloqui con i magistrati della Procura piuttosto che con una sua approfondita ed oggettiva visione del fenomeno mafia. Che di rapporti da leccapiedi di magistrati, alla ricerca del piede giusto ha antica e, magari, non sparita tradizione.
Scrivevamo già allora, quando il Nostro non era ancora Senatore, che se anche in Calabria si dovesse applicare la legge anticorruzione della Regione Siciliana, allora ci si troverebbe di fronte ad un caso in cui sarebbe stata imposta l’applicazione della norma di essa che impone ai portieri degli stabili in cui hanno sede Pubblici Uffici di segnalare alle autorità, credo quelle di P.S. la frequenza inspiegabile di determinate persone negli Uffici siti nel palazzo (Norma ereditata, credo, dall’O.V.R.A.).
Portieri delatori, dunque, piaccia o non piaccia questa qualifica per una categoria di rispettabili lavoratori.
Ma altro che portieri-delatori! Abbiamo oggi i Senatori-Delatori, anzi, ad essere più chiari ed espliciti gli “On. Delatori della Repubblica”.
Leggevo la copia di una denunzia del suddetto Prof. Sen. Morra: “Il sottoscritto Nicola Morra, nella sua qualità di Senatore della Repubblica, espone alla Signora vostra, per l’ipotesi che i fatti in questione possono costituire reato etc. etc.”.
Nella qualità di Senatore! Ecco per lui la funzione del Senatore: “ti dico questi fatti e pensaci tu a tirarne fuori un buon sugo di incriminazioni e di sputtanamento”.
Sputtanamento che non è mai mancato in danno di persone denunziate dal Nostro On. Delatore della Repubblica.
Avrei voluto che l’esperienza ed il senso di responsabilità e di stile del Prof. Morra, una volta eletto Senatore, gli facesse abbandonare certi vizietti che tanto hanno a che vedere con la delazione. Ma il lupo cambia il pelo e quel che segue.
Senatore? no! Delatore della Repubblica.
Mauro Mellini

Io e il mio amico Mauro Mellini non abbiamo “El Miedo”, la paura di parlare: Il fallimento del Partito dei Magistrati in Italia e in Calabria.

Dopo aver letto i contenuti della chat di Palamara, tornano nella mia mente i tramonti estivi presso Belvedere Marittimo in Calabria, dove con il mio mentore e amico Mauro Mellini con tono ironico evidenziavamo la paura di parlare della classe politica calabrese, massacrata dalla disinvoltura con cui i solerti pubblici ministeri applicavano le misure cautelari per il reato di abuso d’ufficio, poi successivamente annullate dal tribunale del Riesame. Mauro Mellini identifica la paura con il termine spagnolo “El Miedo”. Subito dopo questo termine è stato utilizzato molto nelle nostre discussioni sui temi di giustizia. Con Mauro abbiamo la stessa visione e non abbiamo “El Miedo”, la paura di parlare dei temi di giustizia in Italia e in Calabria. Per questi motivi tornano di attualità alcune considerazioni fatte nei mesi passati da Mauro Mellini già componente del CSM e parlamentare radicale noto per le sue battaglie garantiste. “Il Partito dei Magistrati, quello che si era proposto come il gestore di un’operazione politico-istituzionale che avrebbe dovuto colpire la classe politica nel suo complesso, dopo aver colpito ed annientato partiti e settori specifici della politica e delle amministrazioni, è fallito. La corruzione, da esso sfruttata contestandola dove c’era e c’è e dove non c’è, emerge ora come caratteristica di quelli che si erano imposti come i padroni della moralità pubblica, manovratori del linciaggio dei media in danno di uomini d’ogni livello, colpevoli e, soprattutto, innocenti. Quelli, insomma, che scalpitavano per “mettere a posto l’Italia”.

Travolto dalla corruzione, e dallo stesso “uso alternativo della giustizia” che lo aveva reso temibile ed intoccabile, va in rovina un altro partito: quello dei Magistrati. Con il Consiglio superiore della magistratura paralizzato e sputtanato, con una facilmente prevedibile presunzione di corruzione totale e non solo per il meccanismo dell’attribuzione delle cariche, la Magistratura, nel suo complesso, rischia di essere travolta da un’ondata di discredito che non le consentirà più di presentarsi come “ultima speranza” per la moralità e la rettitudine nella vita del Paese. Piercamillo Davigo è costretto a tacere dopo aver imperversato con le sue aggressioni ed i suoi insulti.

Come già per le ondate di linciaggio mediatico che, partite dalle Procure, hanno colpito e stravolto la vita sociale e politica negli scorsi anni, a farne le spese saranno i magistrati non solo quelli truffaldini, mestatori, insofferenti di ogni limite e di ogni regola di compostezza nelle loro funzioni, ma forse, ancor di più, quelli che non hanno cessato di applicare e rispettare la legge.

Crolla il Partito dei Magistrati, tramontano le prospettive di una sua sopraffazione globale degli altri pubblici poteri. Ma, al contempo, non cessano e non perdono potere e velleità di emergere proprio i peggiori, gli inventori di “compiti” personali, gli aspiranti a “passare alla politica”, quelli che sentono un irrefrenabile impulso, come diceva un certo magistrato mio coetaneo simulando lo scherzo: “Il potere è bello perché se ne può abusare!”.

Non finirà lo squadrismo giudiziario di certi Procuratori di nostra e di vostra conoscenza, sempre alla ricerca di occasioni per l’imposizione di un “timore reverenziale”, che è assai poi poco reverenziale e degno di riverenza e somiglia molto alla intimazione ed al “rispetto” mafiosi. Sarebbe questo il momento in cui la classe politica potrebbe riguadagnare la dignità e libertà del suo ruolo e liberarsi dalla gabbia di pausa in cui si è lasciata intrappolare dal momento in cui, nei giorni di “Mani Pulite”, sciaguratamente rinunziò all’immunità parlamentare che aveva il dovere di conservare per farne buon uso a tutela della libertà del Parlamento. Torneremo sull’argomento.

Ma, intanto, dobbiamo prendere atto che non c’è un ministro della Giustizia (non voglio far ridere facendo il nome di Alfonso Bonafede!) che sappia dare al Paese il segnale della capacità di un intervento straordinario per assicurare, intanto, la continuità, la regolarità della funzione del Csm e, poi, una riforma sostanziale delle istituzioni giudiziarie.

Un’ultima considerazione; non si dica che quanto avvenuto col “caso Palamara” ha sorpreso Capo dello Stato, Ministri, Parlamento. Lo abbiamo già scritto nei giorni scorsi. Il marcio emerge oggi. Ma forse oggi si aggiunge solo la coscienza della corruzione con il denaro. Ma da quando il Csm è divenuto un mercato, una borsa valori delle varie “correnti” di magistrati che si affannano a creare i presupposti per un loro “uso alternativo della giustizia”, di marca conforme al modello della loro corrente, c’era una sostanziale corruzione delle istituzioni e delle funzioni giudiziarie cui mancava solo, o così sembrava, l’uso del denaro.

Il male della giustizia ha origini lontane.”

Il Presidente

Associazione Legalità Democratica

Avv. Maximiliano Granata

GARIBALDI: UN EPISODIO DIVENUTO LEGGENDA di Mauro Mellini

Ho passato alcune delle migliori giornate della mia vita in Gallura, il “giudicato” più a Nord dell’Isola. Da campeggiatore–pescatore solitario. Come tale almeno alla partenza, che più tardi sempre amici e “colleghi” di quegli sport ne trovavo sempre.
A parte ogni altro vantaggio queste “villeggiature” da poverissimo che, malgrado la partenza in solitudine mi davano sempre il gran piacere di una convivenza piacevolissima, mi ha consentito una conoscenza approfondita di quella gente eccezionale e di certe loro particolarità, tradizioni, consuetudini. Mi fermavo a pescare piantando la tenda ad est di Santa Teresa di Gallura.
Il contatto a me così possibile con giovani e vecchi, pastori e pescatori dilettanti, “quelli professionisti” erano allora tutti di Ponza e andavano e venivano dalla loro isola.
Le loro memorie riguardavano sopratutto l’epoca della guerra doganale con la Francia, il contrabbando del tabacco e quello del caso del genere. Cose sconosciute altrove ai più, insignificanti o che avevano smesso da tempo di significare qualcosa per la gente.
Ricordo il racconto di certi discendenti di un “prinzipale”, proprietario di vasti terreni che era stato protagonista di un episodio, sia pure marginale, della vita di Garibaldi.
Mi raccontavano dunque che Garibaldi, non ancora in possesso di Caprera, andava visitando luoghi della Gallura dove fermarsi a vivere come poi fece nell’isoletta in modo completamente appartato. Andava a cavallo con qualche suo inseparabile amico. Capitò dunque che giunto nei pressi di Santa Teresa e Vignola andò a parlare con questo latifondista chiedendogli che gli vendesse un modesto fondo.
Il proprietario terriero che non lo riconobbe (era vestito diversamente non solo dagli abitanti del luogo ma anche da come lo erano solitamente i forestieri che ogni tanto venivano in visita). Bruscamente rispose a quella richiesta la classica risposta dei signori, “io compro non vendo”. Garibaldi lo salutò, certo un po’ seccato e se ne andò.
Alcuni dei presenti si rivolsero al “prinzipale” e gi dissero come mai avesse trattato bruscamente il famoso Generale. Saputo con chi aveva avuto a che fare, questi mandò subito due persone a cercarlo e, trovatolo gli portarono le scuse dell’interlocutore e gli dissero che questi era a sua completa disposizione. Garibaldi lo ringraziò ma gli disse che mai avrebbe voluto privare di un po’ della sua terra una persona tanto orgogliosa di possederla. Così il rifugio di Garibaldi non fu in terra di Gallura ma, come ben noto, nell’isola ad essa prospicente di Caprera.
Mi sono talvolta proposto di integrare il racconto che mi era stato fatto con le notizie storiche sull’acquisto di Caprera e quant’altro riguardò la vita del Generale in quel periodo, ma quei miei propositi sono rimasti sempre irrealizzati. Così non ho preso nota e non ricordo il nome che mi fu fatto dell’orgoglioso proprietario di terre. Ma anche questo racconto così generico valse sicuramente a farmi meglio conoscere la figura dell’Eroe dei Due Mondi ed anche un pò dello spirito dei Sardi. Quelli di allora ed anche un pò quelli di oggi.

Mauro Mellini
07.04.2020

NOTA:
Le condizioni precarie in cui ci troviamo in questi giorni non mi hanno permesso le solite correzioni e verifiche. Forse ne riparleremo più tardi. M.M.