NEL P.d.M. CHE SI SGRETOLA L’ALA DEMENZIALE DA’ SPETTACOLO di Mauro Mellini

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Il Partito dei Magistrati, quello che ormai da tempo, rinunziando a miraggi propriamente golpisti, si è arroccato in un’azione di quotidiana, abituale pressione intimidatoria sulla classe politica, è in crisi. Rischia persino di essere travolto dalla ventata anticorruzione che esso stesso ha alimentato e di cui ha fatto lo strumento più potente.

L’ala delle sceneggiate palermitane antimafia, delle imprese elettorali degli Ingroia, della piattaforma mediatica a suon di “cittadinanze onorarie”, ha perso smalto ed è passata in retrovia. Per mesi non avevamo più inteso parlare del suo primo attore, l’ineffabile “Cittadino di Cento Città”.

Oggi si torna a fare il suo nome.

Il pretesto non è nulla di eccezionale. Da tempo, da sempre, Di Matteo, si è valso dei clamori di terribili denunzie di occulte manovre contro la sua persona e contro ciò che egli pretende che essa rappresenti, quale strumento per spuntarla nelle (per lui frequenti) diatribe e controversie in cui incorre nella sua vita professionale.

Con la collezione delle “cittadinanze onorarie” era caduta anche la frequenza di tali episodi. Oggi, un normale provvedimento di governo dell’Ufficio di cui fa parte, la Direzione Nazionale Antimafia, con cui il Procuratore Generale lo ha spostato da un (in sé, oramai un po’ ridicolo) reparto di indagini sulle famose stragi degli anni 1991-1994, ha fatto esplodere quella che sembra la battaglia finale dei fuochi d’artificio dell’ala demenziale palermitana del Partito dei Magistrati (e dei loro tirapiedi).

Si è gridato e si grida ancora all’attentato alla carriera ed, implicitamente ed esplicitamente, alla vita del “più minacciato” (perché, condannato a morte dal fu Totò Riina). Condanna che secondo una banda di pennivendoli della sua corte dovrebbe costituire titolo per assecondarlo in ogni sua pretesa ed aspirazione. “Un passo falso quello del Procuratore Nazionale Antimafia De Raho, accecato dall’odio”. Si legge in un articolo di Lodato su “Antimafia 2000”.

L’articolo è pieno di frasi di grande efficacia comica (come quella di una fretta inspiegabile nel voler chiudere le indagini sulle stragi che, se non erro, durano da più di un quarto di secolo!).

Ma ci sono allusioni ai rapporti degli Italiani con il potere, che dato il momento, autorizzerebbero, anche chi ha sempre respinto le dietrologie di oscuri maneggi, a ritenere che essi siano legati alla più ampia questione delle sorti del Partito dei Magistrati. Ma il bello di tale articolo è la frase e la frase “Tremano i palazzi del Potere. Come non mai. Perché Antonino Di Matteo appare sempre più agli Italiani come il nuovo Giovanni Falcone”. Bum!!

Non dico a nessuno di andare a leggere quello sciagurato scritto. Ma mi pongo un interrogativo. Articoli simili (ve ne sono stati altri di non troppo inferiore effetto comico) su “Antimafia 2000”. Il valersi di tale periodico notoriamente diretto da un guru come il frontecrociato Bongiovanni, del battage pubblicitario di quel livello, per non parlare del non dimenticato vezzo della collezione delle “cittadinanze onorarie”, (a proposito non si sono compiuti un bel po’ di reati di abusi d’ufficio?) sono tutti fatti che anche se non compiuti direttamente da Di Matteo, sono stati e sono, nel loro complesso ed anche singolarmente, da lui accettati assumendone le responsabilità morali, disciplinari e professionali.

Se si deve parlare di rinnovamento della giustizia, di freni a certe esorbitanze etc. etc. non sarebbe il caso che qualcuno prendesse l’iniziativa di un solenne procedimento disciplinare contro un simile, teatrale personaggio di una poco commendevole commedia dell’arte?

E non sarebbe il caso di fare un po’ di conti per vedere, ad esempio, quanto è costata la ridicola, famelica collezione di “cittadinanze onorarie”?

Oppure Di Matteo è al di sopra di ogni regola disciplinare e di ogni responsabilità, anche patrimoniale, per le sceneggiate imbastite attorno alla sua persona?

Mauro Mellini

MAGISTRATI SCATENATI: ORA TUTTI NE VEDONO IL “PARTITO” di Mauro Mellini

Mauro Mellini

MAGISTRATI SCATENATI:
ORA TUTTI NE VEDONO IL “PARTITO”

L’avvicinarsi del voto di domenica 26 maggio ha messo il pepe sulla coda di Procuratori e Procure impegnati nella “lotta alla politica”.
Perché oramai quale che sia il fondamento delle accuse rivolte ad amministratori e “politici”, l’ondata e l’apparente “direzione” delle incriminazioni, la scelta del tempo e tutta la solita strumentazione e “collaborazione” con la stampa, denunciano l’impegno delle Toghe a colpire per “ulteriori finalità”, secondo una visione di parte e, di conseguenze secondo una strategia riconducibile a quell’”uso alternativo della giustizia” di cui tanto ciarlarono nelle loro teorizzazioni gli scalpitanti magistrati di Magistratura Democratica di alcuni decenni fa.
L’”alternativa” cui essi allora alludevano era la grande rivoluzione sociale secondo gli schemi marxisti, di cui, invece, le macerie, i liquami ci hanno dato il “nuovo” populismo becero oggi in auge.
Questi tardivi epigoni di un Partito dei Magistrati un po’ sgangherato (il fatto che esso per lo più operi in sintonia con i forcaioli imbecilli del Cinquestellismo locale basta ed avanza a confermarlo) si valgono di strumenti legislativi e di forzature giurisprudenziali che sono stati sciaguratamente elargiti per placare i loro bollori nel corso di decenni. C’è una ricchezza di ricorso al reato di abuso in atti d’ufficio che ne fa “l’abuso dell’abuso” ed ora vengono fuori le assurde novità (si fa per dire) della legge sul finanziamento dei partiti, per la quale mettere le mani al (proprio) portafoglio, per alimentare la propria corretta politica, è reato.
Tutto l’armamentario anticorruzione oggi nelle mani di questi magistrati “lottatori” a Cinque Stelle o giù di lì è frutto di una corrività tipicamente berlusconiana nell’”ammansire” i forcaioli nell’illusione di placarli.
La corruzione c’è ed è grave. E’ frutto oltre che di una caduta del senso dello Stato e dei doveri di onestà, della frantumazione del sistema partitocratico della Prima Repubblica, in cui la tangente era una sorta di “decima” pagata al sistema politico ricevuto da Yalta ed alla lotta al Comunismo. Sistema di corruzione che la complicazione inestricabile di leggi, leggine, colli di bottiglia, “pedaggi”, “posti di blocco”, per ogni attività imprenditoriale hanno fatto lievitare e reso usuale.
Tutta la “lotta” alla corruzione pare che abbia effetti controproducenti. Certo questi “effetti” sono, anziché nel senso di una diminuzione e repressione degli illeciti, già nella vita economico-sociale, un aumento del potere di cui l’abuso d’ufficio lo mette in atto chi lo compie “in nome del Popolo Italiano”.
Ma oramai il Partito dei Magistrati non sembra tendere più ad agire come un unico corpo in un’unica direzione. E’ piuttosto espressione dello scadimento in sé delle fobie e dei vagheggiamenti dei peggiori tra i magistrati stessi.
Li conosciamo. Li conoscete. Parliamone di più.
E vediamo di cacciarli. Non è impossibile.

Mauro Mellini

Mauro Mellini: Il senatore a cui si riferisce è Nicola Morra ?

Mauro Mellini

Mauro Mellini: Il senatore a cui si riferisce è Nicola Morra ?

Alcuni passi di un articolo di Mauro Mellini del 01.10.2018

UN’ALTRA ALLEANZA IN FRANTUMI: QUELLA TRA 5 S. E MAGISTRATI

In una importante Città del Sud, che vanta tradizioni di cultura ed ha visto suoi cittadini onorare importanti ruoli politici, c’è, ad esempio un Senatore del partito grillino che quando non è impegnato a Roma a scaldare il suo seggio a Palazzo Madama, “è di casa” al locale Palazzo di Giustizia, a mendicare attenzione per le sue delazioni contro ogni altro “politico” della Città ed a suggerire inconcepibili (ma talvolta concepibilissime) baggianate pseudo giudiziarie.
Questo signore, apprendo ora, sta facendo carriera. Ed è il classico Cinquestelluto così come lo vuole il peggio del Partito dei Magistrati, secondo lo schema di un partito “antipolitico” in funzione di tirapiedi di una magistratura prevaricatrice e neoforcaiola.

I magistrati fanno un uso politico della giustizia?

Piercamillo Davigo e Nicola Morra

Oggi “Intromittunt se de omnibus”, si impicciano di tutto, i P.M. ed i Giudici penali.

Perseguire i reati, veri o immaginari è la chiave per l’accesso all’esercizio, di fatto, del potere esecutivo e della stessa “politica”.

Quando, invece, secondo il fondamentale principio della divisione dei poteri, si imporrebbe una netta separazione tra il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario. Una separazione teorizzata due secoli e mezzo fa e realizzata faticosamente con la creazione dello Stato moderno e l’avvento delle libere istituzioni.

Assieme all’”intromittere se de omnibus” dei P.M. e dei Giudici Ordinari fiorisce uno strano fenomeno: quello di una “specializzazione”, non nelle funzioni, ma nell’abuso di quegli strumenti che la legge (in verità sempre più sgangherata al riguardo nelle sue “novità”) fornisce agli scalpitanti magistrati “ratione peccati” per perseguire i reati.

E poiché nella legislazione criminale ci si accosta sempre più alle tesi che, con una spolverata di retorica democratica e di argomentazioni sociologiche, sono pur sempre quelle della giustizia nazista (punire chi è capace e proclive a commettere un reato senza che debba proprio averlo commesso) lo sbandamento ed il debordare diventa invasione del potere esecutivo e della politica. Ma, abbandonando la “divisione dei poteri” sembra che le diverse istituzioni territoriali giudiziarie si “specializzino”, come dicevamo poc’anzi, nel tipo di utilizzazione distorta, oltre che nella stessa distorsione “dei mezzi giudiziari”.

Prima le dichiarazioni del presidente dell’Anm Camillo Davigo, poi il caso Piergiorgio Morosini hanno fatto tornare d’attualità nel dibattito politico il tema della politicizzazione della magistratura.

Nella sua analisi, Giovanni Fiandaca ,aveva colto il centro nevralgico del problema: “La discrezionalità, a seconda dei casi più o meno ampia, inevitabilmente connessa all’interpretazione giudiziaria, funge infatti da porta di ingresso per un insieme eterogeneo di fattori di condizionamento di natura ‘extra-legale’: fattori che vanno dagli orientamenti politico-culturali della corrente di appartenenza al sistema personale di valori, alla fede politica e alla sensibilità del singolo magistrato. Ora, una libertà interpretativa influenzata da opzioni di valore è stata consapevolmente teorizzata da una corrente come Magistratura democratica, che non a caso è quella che si è tradizionalmente distinta rispetto alle altre correnti per una maggiore capacità di elaborazione culturale. E la spiccata attenzione per le valenze politiche dell’attività giurisdizionale ha, contemporaneamente, alimentato forme di proiezione pubblica e di militanza extra-giudiziale così esplicite, anche sul piano dell’esposizione mediatica, da trasformare il magistrato in uno degli attori politici che occupano la scena pubblica”.

Esposto dell’Avv. Maximiliano Granata Legalità Democratica. Interviene il CSM

Avv.  Maximiliano Granata

ESPOSTO DELL’ AVV.  MAXIMILIANO GRANATA LEGALITA’ DEMOCRATICA

INTERVIENE IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

Sui casi sollevati dall’Associazione Legalità Democratica, il Consiglio Superiore della Magistratura specifica che relativamente ai provvedimenti giurisdizionali pronunciati dai magistrati, gli stessi sono soggetti, come qualunque altro cittadino nel caso in cui violi la legge, al giudice ordinario civile e penale .

Sui casi sollevati dall’ Associazione Legalità Democratica, posti all’attenzione degli organi competenti, il Consiglio Superiore della Magistratura evidenzia che non puo’, quindi valutare il merito dei provvedimenti giurisdizionali pronunciati dai magistrati, chiarendo però che “sono soggetti, come qualunque altro cittadino nel caso in cui violi la legge, al giudice ordinario civile e penale .
Cosenza 15.04.2018

Il Presidente
Associazione Legalità Democratica
Avv. Maximiliano Granata

Perché qui in Italia cosi tanti magistrati da scortare. A volte si esagera ?

Quattromila agenti

Insomma, ce l’hanno davvero in tanti, la scorta di Stato in Italia. L’elenco minuzioso e dettagliato è stato pubblicato dal quotidiano Il Tempo. Sono circa quattromila, del resto, gli agenti che utilizziamo a rotazione per proteggere poco meno di seicento persone. L’Italia è il paese che fa più uso delle scorte. Austria, Danimarca, Francia e Inghilterra hanno la metà delle scorte italiane. Ci sono anche meno pericoli?

Status symbol

La polemica sulla scorta come status symbol è vecchia come la casta, ormai. A volte si esagera, certo. Ci sono scorte necessarie, che vanno considerate misure di civiltà. Ma forse uno sguardo più di dettaglio può far emergere qualche incongruenza. Intanto, la prima, è proprio sui numeri. Perchè qui così tanta gente da scortare e all’estero, pur in una situazione di tensione per il terrorismo, molta meno?