Rubrica”El Miedo”,Elezioni Calabria:“Impresentabili? l’Antimafia potrebbe commettere un grave reato”.

Si commette un grave reato nel presentare la lista degli impresentabili alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale dell Calabria. Una lista redatta “per informare gli elettori” su quei candidati che sono “in odore di mafia“, ma che di fatto infrange la legge, sottolineando che il reato non è poi così lontano da quello mafioso: “ha compiuto un reato espressamente previsto dalla legge elettorale (art. 98). Reato che, poi, non è troppo diverso per struttura e finalità repressiva, dal reato tipicamente mafioso, quello previsto dall’art. 416 ter c.p.
Ma torniamo alla Commissione Antimafia ed all’incredibile reato che dovrebbe e ha già compiuto in passato con l’atto in cui, abusivamente intervenendo nella competizione elettorale, redige un elenco di candidati da non candidare ed eventualmente non votare nella prossima competizione elettorale regionale in Calabria.
È un delitto, non perseguibile, forse, per l’immunità parlamentare di cui godono deputati e senatori (tanto vilipesa e maltrattata dalla magistratura, dagli arrabbiati antiparlamentari e antipolitici in circolazione ed alla moda di questi tempi). Non perseguibile a carico di tutti i componenti della commissione parlamentare cosiddetta Antimafia, ma reato a tutti gli altri effetti e per l’esistenza di tutti gli altri elementi oggettivi e soggettivi necessari per qualificare così l’atto gravissimo compiuto”.
“Certo possiamo riconoscere personalmente a Nicola Morra l’attenuante di una scarsissima (ed anche nulla) comprensione dei termini della questione. Ma a un reato «proprio» del pubblico ufficiale non può applicarsi l’esimente del «difetto di dolo» per mancanza di comprensione di quella che è la funzione affidatagli ed i doveri che ne derivino. (A meno che non si debba parlare di «incapacità di intendere e di volere» che è ben altra cosa da quella del dolo).
C’è dunque il reato, anche se non perseguibile per l’immunità parlamentare. E c’è una spaventosa violazione dei limiti delle funzioni istituzionali, fondamento delle libere istituzioni. Potremo comportarci (anche noi) come Nicola Morra piu’ altri, scrivere i nomi di tutti i «colpevoli». Ma quello che ha fatto e sta facendo è addirittura incredibile”.

Io e il mio amico Mauro Mellini non abbiamo “El Miedo”, la paura di parlare: Il fallimento del Partito dei Magistrati in Italia e in Calabria.

Dopo aver letto i contenuti della chat di Palamara, tornano nella mia mente i tramonti estivi presso Belvedere Marittimo in Calabria, dove con il mio mentore e amico Mauro Mellini con tono ironico evidenziavamo la paura di parlare della classe politica calabrese, massacrata dalla disinvoltura con cui i solerti pubblici ministeri applicavano le misure cautelari per il reato di abuso d’ufficio, poi successivamente annullate dal tribunale del Riesame. Mauro Mellini identifica la paura con il termine spagnolo “El Miedo”. Subito dopo questo termine è stato utilizzato molto nelle nostre discussioni sui temi di giustizia. Con Mauro abbiamo la stessa visione e non abbiamo “El Miedo”, la paura di parlare dei temi di giustizia in Italia e in Calabria. Per questi motivi tornano di attualità alcune considerazioni fatte nei mesi passati da Mauro Mellini già componente del CSM e parlamentare radicale noto per le sue battaglie garantiste. “Il Partito dei Magistrati, quello che si era proposto come il gestore di un’operazione politico-istituzionale che avrebbe dovuto colpire la classe politica nel suo complesso, dopo aver colpito ed annientato partiti e settori specifici della politica e delle amministrazioni, è fallito. La corruzione, da esso sfruttata contestandola dove c’era e c’è e dove non c’è, emerge ora come caratteristica di quelli che si erano imposti come i padroni della moralità pubblica, manovratori del linciaggio dei media in danno di uomini d’ogni livello, colpevoli e, soprattutto, innocenti. Quelli, insomma, che scalpitavano per “mettere a posto l’Italia”.

Travolto dalla corruzione, e dallo stesso “uso alternativo della giustizia” che lo aveva reso temibile ed intoccabile, va in rovina un altro partito: quello dei Magistrati. Con il Consiglio superiore della magistratura paralizzato e sputtanato, con una facilmente prevedibile presunzione di corruzione totale e non solo per il meccanismo dell’attribuzione delle cariche, la Magistratura, nel suo complesso, rischia di essere travolta da un’ondata di discredito che non le consentirà più di presentarsi come “ultima speranza” per la moralità e la rettitudine nella vita del Paese. Piercamillo Davigo è costretto a tacere dopo aver imperversato con le sue aggressioni ed i suoi insulti.

Come già per le ondate di linciaggio mediatico che, partite dalle Procure, hanno colpito e stravolto la vita sociale e politica negli scorsi anni, a farne le spese saranno i magistrati non solo quelli truffaldini, mestatori, insofferenti di ogni limite e di ogni regola di compostezza nelle loro funzioni, ma forse, ancor di più, quelli che non hanno cessato di applicare e rispettare la legge.

Crolla il Partito dei Magistrati, tramontano le prospettive di una sua sopraffazione globale degli altri pubblici poteri. Ma, al contempo, non cessano e non perdono potere e velleità di emergere proprio i peggiori, gli inventori di “compiti” personali, gli aspiranti a “passare alla politica”, quelli che sentono un irrefrenabile impulso, come diceva un certo magistrato mio coetaneo simulando lo scherzo: “Il potere è bello perché se ne può abusare!”.

Non finirà lo squadrismo giudiziario di certi Procuratori di nostra e di vostra conoscenza, sempre alla ricerca di occasioni per l’imposizione di un “timore reverenziale”, che è assai poi poco reverenziale e degno di riverenza e somiglia molto alla intimazione ed al “rispetto” mafiosi. Sarebbe questo il momento in cui la classe politica potrebbe riguadagnare la dignità e libertà del suo ruolo e liberarsi dalla gabbia di pausa in cui si è lasciata intrappolare dal momento in cui, nei giorni di “Mani Pulite”, sciaguratamente rinunziò all’immunità parlamentare che aveva il dovere di conservare per farne buon uso a tutela della libertà del Parlamento. Torneremo sull’argomento.

Ma, intanto, dobbiamo prendere atto che non c’è un ministro della Giustizia (non voglio far ridere facendo il nome di Alfonso Bonafede!) che sappia dare al Paese il segnale della capacità di un intervento straordinario per assicurare, intanto, la continuità, la regolarità della funzione del Csm e, poi, una riforma sostanziale delle istituzioni giudiziarie.

Un’ultima considerazione; non si dica che quanto avvenuto col “caso Palamara” ha sorpreso Capo dello Stato, Ministri, Parlamento. Lo abbiamo già scritto nei giorni scorsi. Il marcio emerge oggi. Ma forse oggi si aggiunge solo la coscienza della corruzione con il denaro. Ma da quando il Csm è divenuto un mercato, una borsa valori delle varie “correnti” di magistrati che si affannano a creare i presupposti per un loro “uso alternativo della giustizia”, di marca conforme al modello della loro corrente, c’era una sostanziale corruzione delle istituzioni e delle funzioni giudiziarie cui mancava solo, o così sembrava, l’uso del denaro.

Il male della giustizia ha origini lontane.”

Il Presidente

Associazione Legalità Democratica

Avv. Maximiliano Granata

Tirreno cosentino: La Paura “El miedo” degli amministratori pubblici.

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Tirreno cosentino: La Paura “El miedo” degli amministratori pubblici. Difendiamo i principi fondamentali dello stato libero e democratico .

La recente applicazione di diverse misure cautelari nei confronti di vari Amministratori locali del tirreno cosentino, induce ad alcune riflessioni. Ogni errore, vero o presunto nelle procedure amministrative è “abuso”, reato che, invece, esige nella sua retta applicazione un duplice intento doloso, non è necessario che, poi si arrivi ad una condanna, nemmeno non definitiva, e nemmeno ad un rinvio a giudizio. Nella strategia del Partito dei Magistrati ciò che conta è imporre la paura “el miedo”. Né importa colpire chi, comunque si è reso responsabile di qualche malefatta .Come dicevano i generali francesi nel 1917 bisogna “fucilarne alcuni per incoraggiarli (cioè terrorizzarli) tutti”.Né importa che si colpisce il Sindaco, il Consigliere, l’Assessore del partito più odiato e temuto dalle “Toghe”. Tutto fa brodo, la paura si espande senza limiti di partito. C’è la tendenza ad interdire o ad arrestare, più che una determinata funzione effettivamente connessa col reato la partecipazione alla vita sociale del soggetto. Una punizione anticipata della “capacità a delinquere”. Bisogna avere il coraggio di fare un’analisi puntuale, coraggiosa e senza reticenza dei “casi” di giustizia ingiusta per difendere i principi fondamentali dello Stato libero e democratico.

Alla Raggi scampata all’abuso dell’abuso d’ufficio

 

Alla Raggi scampata all’abuso dell’abuso d’ufficio

di Mauro Mellini

Assolta Virginia Raggi, sindaca di Roma, imputata del solito “abuso d’ufficio” che, in mancanza d’altro, i magistrati prevaricatori, quelli del loro partito, la loro “giurisprudenza”, distorcendo e strumentalizzando la distorsione del relativo articolo del codice penale, forti, talvolta della loro ignoranza, altre volte della loro raffinata disinvoltura, usano oramai come arma di sconvolgimento del sistema dei poteri per sostituirsi al potere esecutivo (quando non per procurarsene il necessario elettorato) e, soprattutto, quale arma di intimidazione collettiva degli amministratori e dei “politici”.

A tale fine ogni errore, vero o presunto nelle procedure amministrative è “abuso”, reato che, invece, esige nella sua retta applicazione un duplice intento doloso. Oramai allo squadrismo giudiziario dei magistrati, particolarmente di quelle forti più della loro ignoranza che del loro sapere, non è necessario che, poi, si arrivi ad una condanna, nemmeno non definitiva, e nemmeno ad un rinvio a giudizio. Nella strategia del Partito dei Magistrati ciò che conta è imporre la paura “el miedo” come dice sempre il mio amico Maximiliano. Né importa colpire chi, comunque si è reso responsabile di qualche malefatta.

Come dicevano i generali francesi nel 1917 bisogna “fucilarne alcuni per incoraggiarli (cioè terrorizzarli) tutti”. Né importa che si colpisce il sindaco, il consigliere, l’assessore del partito più odiato e temuto dalle “Toghe”. Tutto fa brodo, la paura si espande senza limiti di partito. Virginia Raggi, appena eletta, dopo aver messo il figlioletto sul suo banco di sindaco (purtroppo togliendolo subito dopo) ne ha commesse di tutti i colori. Ma proprio per questo non ha “abusato”. Ha dato, piuttosto un primo segnale delle incapacità dell’antipolitica di sostituirsi alla politica. Ed ebbe numerosi cedimenti all’ambiente di sfruttamento che circonda non le etichette della politica e dell’antipolitica, ma il potere e la capacità o incapacità di chi la esercita.

Io non so se Virginia Raggi sarebbe stata assolta se fosse stata, che so, di Forza Italia, del Partito Democratico o chi sa cos’altro. Né da questo dipende la gravità del fatto. E, oggi, di fronte al suo caso, alla sua assoluzione (come, eventualmente, alla sua condanna) poco importa che il suo partito sia parte integrante, braccio secolare di quel turpe sistema inquisitorio. Le vittime dell’ingiustizia sono sempre tali, anche quando sono dalla parte del sistema ingiusto. Congratulazioni Virginia! Cerca di capire questo mio discorso.