Corruzione a palazzo di giustizia .

On. Mauro Mellini

CORRUZIONE A PALAZZO DI GIUSTIZIA

Alla corruzione di chi eserciti un pubblico potere abbiamo tutti fatto assuefazione. Tutti ne parlano: giuristi e portinaie, giornalisti e tassinari, il Papa, i vescovi, gli anziani ed i giovani, gli attori d’avanspettacolo ed i filosofi, le prostitute ed i loro clienti, gli ignoranti e gli intellettuali, i politici e (soprattutto) gli antipolitici. Ne parlano come di qualcosa di scontato, di inevitabile. E, soprattutto, ne parlano corrotti e corruttori.
Tanto è data per scontata la corruzione, che probabilmente i più sospettati, e sono solo di corruzione, sono quelli (in verità assai pochi) che hanno fama di essere corrotti e corruttibili. Dei quali tutti aspettano un tonfo clamoroso, che faccia venir meno l’inquietudine del sospetto e consente un atto liberatorio: “vedete? Sono tutti uguali”.
Tutti uguali nella corruzione, però i politici un pochetto di più. E, adesso anche qualche politico che si copre dietro l’antipolitica.
Quanto a categorie non c’è scampo.
Cioè, lo scampo c’è: strillare più degli altri contro la corruzione, cosa che per una categoria non è facile. Così sono considerati corrotti e, peggio ancora corruttibili, politici ed amministratori, appaltanti ed appaltatori, vigili urbani e medici ospedalieri e non.
E, preti, monsignori e cardinali.
C’è però una categoria che, in verità sfugge a questo “acciaccapisto” del moralismo collettivo: la magistratura.
Dei magistrati non sempre si è detto bene. Oggi e nel passato. Ma si può dire che ad essi siano stati assai di più i peccati perdonati (o ignorati) che quelli in qualche modo contestati. Lo si vede anche in quella grande sceneggiata nazionale che fu “l’epurazione” dopo la caduta del fascismo.
Ma da quando il “dagli al corrotto” è divenuto, il “ça irà” dei nuovi tempi, magistrato e magistratura sono termini che si abbinano a corrotti e corruzione solo come un ossimoro. Non dico che la magistratura sia la speranza di quelli che gridano di più contro la corruzione, specie se in buona fede, ma almeno rappresenta il necessario presupposto del concretarsi della rabbia in un oggetto: le manette.
C’è tanta gente che potrebbe e, magari dovrebbe per personale esperienza, gridare contro i magistrati. Ma grida, invoca le manette e, con le manette attribuisce un valore simbolico e salvifico anche a chi ne dispone l’uso ed anche l’abuso: i magistrati.
Così un po’ dell’antico e conclamato merito che una volta si riconosceva ai placidi ed un po’ sonnolenti componenti dei Regi Uffici Giudiziari, ai Commendatori Presidenti del Regio Tribunale ed al Cav. Uff. Procuratore del Re è passato ai magistrati di oggi che di quelli lì si fanno beffa e dei quali ignorano regole e, magari scienza e coscienza.
Negli Uffici Giudiziari, in verità, qualche tallone d’Achille c’è sempre stato. Se, al più, si parlava di cazzate di questa o quella Sezione del Tribunale e della Corte, del Pretore o del Procuratore del Re, qualcosa di più e di molto peggio si diceva di quanto accadeva nella Sezione Fallimentare, ed in quella delle Esecuzioni immobiliari nei rapporti tra magistrati, curatori e periti. Per questo ottimi magistrati, amanti del quieto vivere, si tenevano alla larga da tali Uffici.
Guarda caso, oggi che l’onestà della magistratura è divenuta un dogma necessario a questa nostra democrazia dello sputtanamento (criticare è inutile o non si può; sputtanare, invece sì) la prima vistosa crepa, anche se la vistosità non sembra avere attratto abbastanza l’attenzione di chi di dovere, si è verificata in un ufficio in cui si esercitano poteri per più versi simili a quelli dei giudici fallimentari: le Sezioni di Prevenzione (antimafia) con il magna-magna, contestato alla Presidente di quella di Palermo, la Saguto. Ed al suo contorno di beneficiari, compartecipi, per non parlare della considerevole quota di “non vedenti” che spesso si muove dietro certi scenari.
Ma, di fronte ad un caso Saguto (e, soprattutto ai molti altri di cui assai meno noti, troppo poco, si è parlato e si parla) non è forse giunto il momento di domandarsi se veramente la magistratura, malgrado l’irrompente tendenza alla prevaricazione, le insipienze, l’ignoranza, l’insensibilità per le vite della gente, è veramente, almeno, indenne dalla tabe della corruzione?
“Non è solo Saguto” è il titolo di un opuscolo che, on line ho fatto circolare (in verità assai poco). Ma non è in quel senso, in quello, cioè, secondo cui c’è da preoccuparsi piuttosto del sistema della persecuzione del sospetto, di cui bisogna preoccuparsi.
“Non è solo Saguto” perché, anche a stare solo a casi “emersi” con qualche forma di interventi repressivi, “qualcos’altro”, non poco rilevante si è verificato e si verifica in Sicilia e un po’ dovunque in Italia. Non ne abbiamo fatto un inventario. Ma ne sappiamo quanto basta.
Contemporaneamente al “caso Saguto” è scoppiato in Sicilia, a Catania, il caso del cosiddetto “palazzo della legalità” relativo alla clamorosa illegalità di una colossale impresa edilizia oggetto di un’amministrazione di patrimoni e aziende sequestrate perché “in odore di mafia”, con il coinvolgimento di magistrati e del Fratello di un notissimo magistrato di Palermo.
In Sardegna è venuta fuori un assai brutta faccenda di acquisti di beni oggetti di esecuzioni immobiliari al Tribunale di Olbia da parte di magistrati ad essa addetti.
Ho fra le mani una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che conferma il provvedimento del C.S.M. (assai blando, se non ridicolo) a carico di una Magistrata di Pistoia, colpevole di illecite attribuzioni di curatela di beni a commercialisti amici (qualcosa che, contestate ad un Sindaco o ad un Amministratore di un Ente pubblico lo avrebbe portato dietro le sbarre).
Non sono, lo ripeto, un raccoglitore di queste notizie. E di molte di esse mi arriva (e mi resta) solo l‘eco.
Se tra ottomila Magistrati non sono tanto pochi quelli che non hanno nulla da invidiare a Sindaci e Presidenti di Enti, e non è espressione di una eccessiva tendenza a pensar male se si ipotizza che, a parte la diversa giurisprudenza nell’abuso d’Ufficio con finalità patrimoniali, un magistrato corrotto abbia minori probabilità di finire condannato di un Sindaco o di un deputato.
C’è poi, e non si tratta di “pensar male” qualche clamorosa disparità di trattamento. Riguardo lo “jus sputtanandi”, inapplicabile ai togati.
Negli uffici del quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari hanno fatto irruzione poliziotti e Guardia di Finanza a rovistare nei cassetti ed a sequestrare computer.
Il quotidiano aveva dato notizie “riservate” sulle magistrate implicate nelle vicende immobiliariste di Olbia.
Ed allora? Allora significa che aveva ragione quel mio ex compagno di Università, magistrato che, un po’ per celia ed un po’ per farsi capire diceva spesso: “Il potere è bello perché se ne può abusare”.
Cercare di rendere trasparente, meno complicato e pesante il potere. Questa è l’unica lotta alla corruzione che abbia senso.
E finiamola con le “Authority” di funzionari che si beccano “premi di produzione” da far incazzare piuttosto che “ridere”.
E finiamola, pure con leggi e leggine anche “regionali” (!!??!!) anticorruzione.
Secondo quella Siciliana (spero solo quella) pare che a far scudo alla onestà contro la corruzione debbano concorrere i portieri dei “palazzi del potere” dove hanno sede pubblici Uffici, tenuti a segnalare la frequenza sospettanda di “estranei”, come tali sospetti corruttori.
Una volta i portieri, dovevano riferire alla “Casa del fascio…”.
Certo, l’imbecillità è peggiore della corruzione.

Mauro Mellini
17.04.2018

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