Granata(Legalità Democratica):Città di Rende,basta con gli SCIACALLI dell’antimafia.

Il caso della città di Rende, mi induce ad alcune riflessioni: Si direbbe che qualcosa si stia muovendo nella sconsolante immobilità del Paese, dei suoi giuristi, dei suoi imprenditori, dei suoi abitanti di buon senso e di buonafede di fronte allo scempio del diritto, dell’economia, della civiltà dei rapporti tra governanti e governati consumato in nome di un komeinismo antimafia e di un controriformismo inquisitorio che sono la negazione della nostra stessa società.Abituati, ma non rassegnati a parlare al vento, a scrivere per esser letti da pochi e rassegnati amici da anni ed anni, può darsi che il nostro sia un sussulto di ottimismo ingiustificato. Ma è nostro dovere, è diritto della nostra non rassegnazione ad esporlo, a tentare di condividerlo con chi, rassegnato, ci ha magari fatti oggetto del suo affettuoso scetticismo.Lo abbiamo già scritto: ci deve essere un sussulto contro quella particolare ma essenziale forma di demolizione dei fondamenti civili e sociali del nostro diritto penale che sono le misure Antimafia, ma non solo.Un appello speciale agli avvocati: mettano da parte i loro studi, le loro analisi, (parlo, ad esempio quelli del Consiglio Nazionale Forense) per “correggere” il codice antimafia.Non si riducano ad umiliarsi in un dialogo con questa politica. Parlino invece alla gente. Scrivano sui giornali. Adoperino internet. Diventino agitatori in nome della legalità vera. Passati gli entusiasmi del “manipulitismo” e quelli dell’antipolitica che ne è stata generata, cresce nel Paese l’insofferenza per l’impotenza di una Magistratura priva di responsabilità, ribelle rispetto ai limiti di differenziazione di ruoli. L’alleanza tra l’estremismo giudiziario quale quello di un Di Matteo con i Cinque Stelle ha nuociuto all’uno e agli altri. La rabbia e l’insofferenza contro l’antimafia arrogante, che pesa ed opprime la vita sociale e politica del Mezzogiorno (e non solo) sale e trabocca. Ma rabbia ed insofferenza non debbono essere lasciate senza sostengo e possibilità di un’espressione razionale e “pulita”, non soggetta a nuove degenerazioni di tipo grillino. Nella Magistratura non sono pochi quelli che si rendono conto di questa situazione.Chi ha senno deve avere coraggio e chi ha coraggio è l’ora che lo dimostri. L’Italia non merita una nuova, tristissima esperienza autoritaria.BASTA CON QUESTA ANTIMAFIA E CON GLI SCIACALLI DELL’ANTIMAFIA.Lo dichiara il presidente dell’Associazione Legalità Democratica Avv. Maximiliano Granata.

Avv. Maximiliano Granata, Antimafia che vergogna. Caso Guarnaccia, prevaricazione istituzionale.

“Sulla storia delle “liste di proscrizione”, dei candidati che l’ineffabile Nicola Morra definisce “impresentabili”, intervenendo come un ippopotamo (gli elefanti mi pare siano molto più eleganti) in un negozio di chincaglieria, ho scritto parole molto pesanti ma non abbastanza.
Non è un qualsiasi episodio di distorsione ed abuso da parte di un organo che dovrebbe essere presidio delle libere istituzioni…..”
Il caso di Gianluca Guarnaccia che viene considerato come black list nella sua qualità di candidato consigliere comunale della città di Cosenza, merita alcune considerazioni:
La Commissione Parlamentare Antimafia, oggi presieduta dal prof. Nicola Morra, che ha ereditato, ci sarebbero ragioni per affermarlo, virtù della precedente presidente, ha voluto replicare, con l’aggravante di una procedura ancora più tarocca, le prodezze dei tempi della Rosy Bindi in occasione delle prossime elezioni per il rinnovo niente meno che del consiglio comunale di Cosenza e di Gianluca Guarnaccia.
Il vaglio, che, poi, è noto ed arcinoto che non è e non è mai stato un vaglio, ma dato il metodo, solo una “pesca nel mucchio”, tra i candidati alle elezioni di pretesi “impresentabili” è una violazione, oltre tutto, della parità tra i candidati.
Sconcezza vile e stupida, data anche la consuetudine di pubblicare i nomi dei diffamati all’ultimo momento. Ma soprattutto questo giudizio, che poi non è tale ed è emesso coprendosi dietro norme non di legge, sarebbe stato emesso nei confronti di candidati alle elezioni, cui la legge garantisce con il diritto di partecipazione in condizione di parità. E, quindi è una aperta violazione di ogni norma fondamentale e di principio costituzionale.
Il fatto che un Organo dello Stato dichiari “impresentabili”, in forza di un certo codice di autoregolamentazione (che significa?) soggetti che la legge dichiara e riconosce eleggibili, mi pone un dubbio: è stupidaggine o è sopraffazione?
Nel caso di specie di Gianluca Guarnaccia per come riportato correttamente dai mezzi d’informazione locali che riporta alcuni rinvii a giudizio precisando che non c’è alcun procedimento per associazione mafiosa previsto dall’art. 416 bis, rende il fatto ancora piu’ inquietante.
È ora di finirla con questa Antimafia che si sovrappone al diritto e alla Costituzione e ci impone personaggi come Morra e i suoi seguaci giustizialisti.
Lo dichiara il Presidente dell’Associazione Legalità Democratica Avv. Maximiliano Granata

Elezioni Calabria, impresentabili: Antimafia, prevaricazione istituzionale.

La Commissione Parlamentare Antimafia, oggi presieduta dal prof. Nicola Morra, che ha ereditato, ci sarebbero ragioni per affermarlo, virtù della precedente presidente, ha voluto replicare, con l’aggravante di una procedura ancora più tarocca, le prodezze dei tempi della Rosy Bindi in occasione delle prossime elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della Calabria.
Il vaglio, che, poi, è noto ed arcinoto che non è e non è mai stato un vaglio, ma dato il metodo, solo una “pesca nel mucchio”, tra i candidati alle elezioni di pretesi “impresentabili” è una violazione, oltre tutto, della parità tra i candidati.
Sconcezza vile e stupida, data anche la consuetudine di pubblicare i nomi dei diffamati all’ultimo momento. Ma soprattutto questo giudizio, che poi non è tale ed è emesso coprendosi dietro norme non di legge, sarebbe stato emesso nei confronti di candidati alle elezioni, cui la legge garantisce con il diritto di partecipazione in condizione di parità. E, quindi è una aperta violazione di ogni norma fondamentale e di principio costituzionale.
Il fatto che un Organo dello Stato dichiari “impresentabili”, in forza di un certo codice di autoregolamentazione (che significa?) soggetti che la legge dichiara e riconosce eleggibili, mi pone un dubbio: è stupidaggine o è sopraffazione?
È ora di finirla con questa Antimafia che si sovrappone al diritto e alla Costituzione e ci impone personaggi come Morra e i suoi seguaci giustizialisti.
Lo dichiara il Presidente dell’Associazione Legalità Democratica Avv. Maximiliano Granata .

Granata(Legalità Democratica):Nicola Morra irrompe all’Asp di Serra Spiga, si deve essere sentito un eroe. Un eccellente risultato nella storia dell’Antimafia.

Avv. Maximiliano Granata (Legalità Democratica)

Senatore, è parola che nei secoli ha avuto significati diversi, denominazioni di stati sociali, di funzioni collettive, di cariche individuali (senza o quasi, funzioni). Senatore della Roma Repubblicana, Senatore di Roma (che organizzava le corse dei “berberi”, cavalli senza cavaliere al Corso e riceveva dalla Comunità Ebraica l’omaggio del palio da conferire al vincitore, ripagandolo con un calcio di sprezzo.

Senatori del Regno. Molte prerogative e molta autorevolezza ma scarso potere. E, poi Senatori della Repubblica.
Componenti della “Camera Alta” che, nella versione Italiana odierna più alta dell’altra non è, e che molti vorrebbero abolire. O, come cercò di fare Renzi, di affogarla in una gran pasticcio.
Ma c’è chi del Senato e della carica di Senatore ha una visione tutta particolare, al punto da ritenere di doverla esibire per esporre alla Procura della Repubblica denunzie di delitti o sospetti ed indizi di malefatte più o meno delittuose e più o meno non concepibili.

Nicola Morra ha passato, si direbbe, più tempo nella prima legislatura in cui fu eletto Senatore del Movimento 5 Stelle, a redigere denunzie di fatti da lui ritenuti veri e delittuosi e di sospetti ed indizi di essi e ciò qualificandosi: “il sottoscritto………nella sua qualità di Senatore della Repubblica”, piuttosto che a discutere leggi e provvedimenti.

Nella funzione di Senatore non c’è, però quella di raccogliere prove e voci o sospetti di delitti.
Ma ci sono sempre interpretazioni personali del proprio ruolo. Nicola Morra, benché professore, non pare facesse troppa distinzione tra Senatore e Delatore (brutta parola, malgrado l’assonanza con la carica illustre).
Denunzia oggi sospetta domani. Nicola Morra deve essersi fatto una cultura, per quanto molto personale, in fatto di crimini di organizzazioni criminali e di cose ritenute tali. Questa sua vocazione o aspirazione è stata accontentata nella ulteriore legislatura in cui è stato rieletto Senatore. E’ stato, infatti nominato Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, posto lasciato libero nientemeno che da Rosy Bindi che non è tornata in Parlamento.

Nicola Morra, poteva considerarsi l’uomo simbolo di un rapporto di solidarietà e quasi di reciproca integrazione tra Movimento Cinque Stelle e Magistratura o per dire meglio “Partito dei Magistrati”, quella parte di essa che costituisce veramente un partito forte e, soprattutto,temuto.
L’uomo giusto al posto giusto. Tutto sta nell’intendersi sul significato di giustizia.
Non credo che le cose siano andate ugualmente bene al Senatore Antimafioso nel suo Collegio in Calabria.

Questa mattina di buon ora alle ore 8.41 su alcuni organi di informazione mi appresto a leggere il titolo di un articolo “Cosenza, Nicola Morra irrompe all’Asp di Serra Spiga e se la prende con tutti”, Parole di fuoco per i dirigenti del Dipartimento di prevenzione ai quali gli agenti della scorta chiedono anche i documenti. E uno di loro accusa un malore.

Nicola Morra si deve essere sentito un eroe, nella sua visita inattesa e particolarmente turbolenta presso gli uffici dell’ASP di Cosenza, cosa che ” rientra  nella funzione e nella storia dell’Antimafia”(Sic !), per dirla come il mio grande amico e mentore Mauro Mellini, che utilizzava l’arte dell’ironia.

Ma questo è l’andazzo delle cose. Questa la vocazione (e l’utilizzazione della vocazione) della crema dei nostri Uomini Politici (e, soprattutto, Antipolitici).

Dopo essere uscito per i fatti noti dal gruppo del senato, è chiaro che con questo la carriera parlamentare del Senatore-Delatore è finita. Se non va a trovarsi (tutto è possibile) un altro partito.

Così vanno le cose. Cioè non vanno. Lo dichiara il Presidente dell’Associazione Legalità Democratica Avv. Maximiliano Granata.

 

NEL P.d.M. CHE SI SGRETOLA L’ALA DEMENZIALE DA’ SPETTACOLO di Mauro Mellini

Maximiliano Granata e Mauro Mellini

Il Partito dei Magistrati, quello che ormai da tempo, rinunziando a miraggi propriamente golpisti, si è arroccato in un’azione di quotidiana, abituale pressione intimidatoria sulla classe politica, è in crisi. Rischia persino di essere travolto dalla ventata anticorruzione che esso stesso ha alimentato e di cui ha fatto lo strumento più potente.

L’ala delle sceneggiate palermitane antimafia, delle imprese elettorali degli Ingroia, della piattaforma mediatica a suon di “cittadinanze onorarie”, ha perso smalto ed è passata in retrovia. Per mesi non avevamo più inteso parlare del suo primo attore, l’ineffabile “Cittadino di Cento Città”.

Oggi si torna a fare il suo nome.

Il pretesto non è nulla di eccezionale. Da tempo, da sempre, Di Matteo, si è valso dei clamori di terribili denunzie di occulte manovre contro la sua persona e contro ciò che egli pretende che essa rappresenti, quale strumento per spuntarla nelle (per lui frequenti) diatribe e controversie in cui incorre nella sua vita professionale.

Con la collezione delle “cittadinanze onorarie” era caduta anche la frequenza di tali episodi. Oggi, un normale provvedimento di governo dell’Ufficio di cui fa parte, la Direzione Nazionale Antimafia, con cui il Procuratore Generale lo ha spostato da un (in sé, oramai un po’ ridicolo) reparto di indagini sulle famose stragi degli anni 1991-1994, ha fatto esplodere quella che sembra la battaglia finale dei fuochi d’artificio dell’ala demenziale palermitana del Partito dei Magistrati (e dei loro tirapiedi).

Si è gridato e si grida ancora all’attentato alla carriera ed, implicitamente ed esplicitamente, alla vita del “più minacciato” (perché, condannato a morte dal fu Totò Riina). Condanna che secondo una banda di pennivendoli della sua corte dovrebbe costituire titolo per assecondarlo in ogni sua pretesa ed aspirazione. “Un passo falso quello del Procuratore Nazionale Antimafia De Raho, accecato dall’odio”. Si legge in un articolo di Lodato su “Antimafia 2000”.

L’articolo è pieno di frasi di grande efficacia comica (come quella di una fretta inspiegabile nel voler chiudere le indagini sulle stragi che, se non erro, durano da più di un quarto di secolo!).

Ma ci sono allusioni ai rapporti degli Italiani con il potere, che dato il momento, autorizzerebbero, anche chi ha sempre respinto le dietrologie di oscuri maneggi, a ritenere che essi siano legati alla più ampia questione delle sorti del Partito dei Magistrati. Ma il bello di tale articolo è la frase e la frase “Tremano i palazzi del Potere. Come non mai. Perché Antonino Di Matteo appare sempre più agli Italiani come il nuovo Giovanni Falcone”. Bum!!

Non dico a nessuno di andare a leggere quello sciagurato scritto. Ma mi pongo un interrogativo. Articoli simili (ve ne sono stati altri di non troppo inferiore effetto comico) su “Antimafia 2000”. Il valersi di tale periodico notoriamente diretto da un guru come il frontecrociato Bongiovanni, del battage pubblicitario di quel livello, per non parlare del non dimenticato vezzo della collezione delle “cittadinanze onorarie”, (a proposito non si sono compiuti un bel po’ di reati di abusi d’ufficio?) sono tutti fatti che anche se non compiuti direttamente da Di Matteo, sono stati e sono, nel loro complesso ed anche singolarmente, da lui accettati assumendone le responsabilità morali, disciplinari e professionali.

Se si deve parlare di rinnovamento della giustizia, di freni a certe esorbitanze etc. etc. non sarebbe il caso che qualcuno prendesse l’iniziativa di un solenne procedimento disciplinare contro un simile, teatrale personaggio di una poco commendevole commedia dell’arte?

E non sarebbe il caso di fare un po’ di conti per vedere, ad esempio, quanto è costata la ridicola, famelica collezione di “cittadinanze onorarie”?

Oppure Di Matteo è al di sopra di ogni regola disciplinare e di ogni responsabilità, anche patrimoniale, per le sceneggiate imbastite attorno alla sua persona?

Mauro Mellini