LA LEZIONE DEL PAPA E DEL RE DI NAPOLI di Mauro Mellini

Mauro Mellini

LA LEZIONE DEL PAPA E DEL RE DI NAPOLI

Qualche volta, di fronte al dilagare, oltre tutto pubblicizzato e “gonfiato” (se possibile) dalla stampa, siamo portati a domandarci se la corruzione, la disonestà nella vita pubblica e negli affari pubblici siano qualcosa che è nel DNA Italiano.
Non siamo razzisti, ma crediamo nelle tracce della storia, della religione anche e soprattutto, sulla morale pubblica.
Non vi è dubbio che l’intrigo delle “raccomandazioni”, delle “influenze”, su cui si regge tanta parte della vita pubblica e sociale del nostro Paese, sia speculare ad un assai complesso sistema di intercessioni, benedizioni, salvataggi, propri della religione cattolica e della sua pratica soprattutto nel Meridione d’Italia. Pregare questo o quel Santo, perché è “del posto”, è uno che con i miracoli ci sa fare (taumaturgo) perché “interceda” presso Gesù, e presso tutte e tre le espressioni della Trinità. Promettere donativi a questa o quella cappella, impegnarsi a far pellegrinaggi, far dire Messe etc. sono tutte espressioni di una religione che non è facilmente definibile come “monoteista” e crea mentalità tale e quale a quella su cui si fondano clientele politiche, raccomandazioni, corruzioni.
Questo è vero ancora oggi. Ma assai di più era evidente prima dell’Unità. Dove più forte era la corruzione? Il primato pare se lo contendesse lo Stato del Papa, in cui dal parroco al Segretario di Stato “mangiavano” a quattro ganasce, ed il Regno di Napoli, in cui i vari Re Borbone ritenevano dover chiedere a funzionari, giudici, Ufficiali dell’Esercito e della Marina di “non rubare troppo” ed in modo non troppo vistoso.
Con un certo ottimismo e di carità di Patria e per l’immagine di quel mondo che ci hanno trasmesso Uomini come Benedetto Croce, un certo miglioramento vi fu con l’Unità. In periodo fascista, che i “gerarchi” rubassero era convinzione diffusa non solo tra gli antifascisti.
Con la Repubblica si può dire che mettere da parte un po’ di denaro pubblico per far la lotta di classe o per sbarrare la strada al Comunismo fu norma quasi codificata. Le tangenti furono trattate con le Ambasciate. Basti pensare a quella colossale per l’acquisto delle navi “Liberty”, con la quale si diede vita al Partito Socialdemocratico di Saragat.
Se è vero (ed è vero) che l’avvento politico della Prima Repubblica fu disegnato ben prima del 18 aprile 1948 e delle altre successive elezioni, con gli stessi accordi di Yalta, è vero pure che da Yalta nasce il “diritto” dei partiti di spartirsi con il potere le “usuali” tangenti.
Ricordo nella mia infanzia (e forse anche più tardi) di aver letto certe targhette metalliche sulle porte negli Uffici Postali, nei Comuni etc. etc. “L’Uomo Civile non sputa in terra e non bestemmia”.
Non credo che sarebbe il caso porre targhette simili nelle migliaia di uffici pubblici (cresciuti nel frattempo come funghi) (ve lo immaginate: “L’uomo per bene non dà mazzette e non compra i pubblici Amministratori”!!!). Ma se si cercasse di portare il dibattito, invece che su assurde misure di incarico delatorio ai portieri perché segnalino persone dalla figura e dall’andatura di sospetti corruttori, sulla morale e sulla necessità pubblica di non arrendersi alla “necessità” della corruzione, credo che non sarebbe poi cosa sbagliata.
Forse riderete. L’amore del denaro dei “buoni” affari non si vince con le prediche.
D’accordo. Ma io, quando mi è capitato di sentire qualche palazzinaro vantarsi di “avere in mano”, con un po’ di soldi, quelli del Comune etc. etc. non ho mai mancato di fare la “faccia un po’ schifata”. E la parte del fesso, direte. D’accordo. Ma se vale a creare almeno un minimo di disagio sociale per corrotti e corruttori, non è che far la parte del fesso qualche volta sia un troppo gran sacrificio.

Mauro Mellini

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